Crack Italia, ritratto di un Paese in bilico tra vecchi problemi e nuove energie

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    di Francesco Perrella*

    “Ahi serva Italia, di dolore ostello”… Iniziare un saggio politico con una citazione di Dante – posta nella terza di copertina – e concluderlo parlando di Carl Marx è un qualcosa che potrebbe lasciare spiazzato più di un lettore. Ma il viaggio che Luigi Pandolfi ci regala nel suo Crack Italia – La politica al tempo della crisi è qualcosa di molto di più che una semplice lettura del presente con gli occhi del passato. E’ una disamina puntuale e spietata di alcuni degli aspetti che più denotano la crisi profonda ed a tratti irreversibile che sta vivendo la politica italiana. E’ un percorso per cercare di capire innanzitutto perché la parola “politica” – l’arte di curare la cosa pubblica – si sia caricata di un significato tanto negativo, perché non ci si possa più riferire ad “politico” senza inevitabilmente pensare alla sua “casta” incrollabile ed ai suoi privilegi atavici. Per capire se il problema, in fin dei conti, cosa sia la vera “antipolitica” – altro termine destinato ad entrare nelle enciclopedie – e soprattutto gli “antipolitici”.
    I “crack”, le fratture che minacciano l’unità del nostro Paese, sono mai come prima numerosi. A cominciare dal fatto che “secessionismo” non si legge più solo Lega Nord: sempre più movimenti, nel Mezzogiorno, sembrano voler rinnegare l’appartenenza ad un Stato da cui non si sentono tutelati. Quella che si sta aprendo, è la frattura tra due Italie che viaggiano a velocità differenti, una con ambizioni da paese europeo e l’altra sempre più anziana, spopolata, sempre più dipendente da quello Stato che è al contempo madre e matrigna. E leggendo questo libro, ci si sorprende a scoprire che in fin dei conti la rabbia del Nord e quella del Sud, pur partendo da presupposti, da obiettivi e da ambizioni differenti – che non di rado prescindono dalla buona fede – vorrebbero approdare allo stesso risultato.
    La frattura non attraversa solo l’Italia, ma anche gli italiani. Quelli che, sempre più numerosi, si sentono schiacciati dal peso della crisi economica, e quelli che in questi anni hanno visto crescere i propri patrimoni in maniera esponenziale. Il ritratto è quello di un Paese che si regge su delle spalle numerose, ma sempre più deboli e soprattutto, sempre meno disposte a sostenere il peso di responsabilità che non avvertono come proprie.
    Ma la frattura, quella più evidente e forse anche più insanabile, è tra i cittadini e le istituzioni preposte a rappresentarli. E’ nella totale sfiducia che gli elettori nutrono nei partiti che siedono in parlamento e legittimano una maggioranza “tecnica” che, nei canoni della democrazia, in fin dei conti legittima non è. Ed è anche nel consenso che in questo momento può ottenere qualunque “uomo della provvidenza” che sappia sfoderare gli argomenti giusti al momento giusto. La rottura totale con il passato sta nel fatto che per quante proposte serie si possano fare, il fascino del “vaffa” sembra avere sempre la meglio. Ed è cosi che “un comico diventa un politico”. Che a ben vedere, non è una cosa molto diversa da quanto successo più o meno vent’anni fa.
    In un momento che l’autore definisce senza mezzi termini “la crisi più cupa” per l’Italia “dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale”, proprio ora che le certezze, i punti fermi su cui costruire il futuro sembrano scarseggiare, occorre forse mettersi in gioco ed in discussione. Chiedersi se il problema della politica siano davvero gli stipendi dei suoi rappresentanti, oppure se le buste paga vergognosamente gonfie non vadano cercate altrove. Chiedersi se sia sufficiente sbandierare e commemorare la nostra “unità” nazionale, o se servano nuove strade per ribadirla, farla vivere e donarle nuova forza. Chiedersi se davvero la democrazia possa vivere fuori dagli spazi della partecipazione, delle organizzazioni di partito, dalle piazze, o se più semplicemente si possa amministrarla stando seduti dietro ad un pc. Chiedersi se mettere una bomba (un ordigno metaforico, s’intende) alle fondamenta del sistema e farlo crollare portando con se i suoi protagonisti, sia davvero ciò di cui abbiamo bisogno per andare a capo nella storia del nostro paese, o piuttosto se non sia solo una trovata di un certo fascino e sicura presa sull’opinione pubblica.
    Mai come ora è fondamentale distinguere la “politica” dal “politicantismo”, se davvero non vogliamo più vivere nel Paese “delle convergenze parallele e dei compromessi storici, del manganello e doppiopetto e dei partiti di lotta e di governo, della politica dei doppi forni”. Un’Italia di cui Luigi Pandolfi ci offre un’istantanea che più che una foto è una pittura ad olio. La forza dei fatti e delle tesi raccontate sta proprio nella loro ovvietà, nel loro essere sotto i nostri occhi giorni per giorno, sotto i nostri piedi. Ci sbatte in faccia gli ovvi paradossi in qui vive la nostra quotidianità di cittadini. Senza cadere nei facili espedienti del qualunquismo, del “cosi fan tutti”, dell’Italia che va a rotoli e dello sparare a zero. Strade per un successo immediato, sicuro quanto effimero e vuoto. Crack Italia è un distillato di un Paese che a tratti ristagna ed a tratti ribolle di nuove energie. Ma il retrogusto che lascia, sorprendentemente, è tutt’altro che amaro.

     

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