I veleni di Montemurro e il buonismo dell’Eni

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    “A breve pubblicherò nuovi dati che confermano quanto già documentato in precedenza; contrariamente a quanto dice l’Eni, sembra esserci una correlazione tra le fuoriuscite di idrocarburi a Montemurro e un vicino pozzo di petrolio”. Parla la professoressa Albina Colella, ordinaria di Geologia all’Università di Basilicata. 

    Torbide acque. La “battaglia” è e deve essere “scientifica”, “sui dati”. La professoressa Colella sta conducendo uno studio con l’Università di Basilicata già dallo scorso mese di maggio. E cioè da quando, dopo una segnalazione, aveva constatato, insieme al tenente della Polizia Provinciale Giuseppe Di Bello, delle fuoriuscite di acque “torbide” in un terreno di contrada La Rossa (Montemurro), a poco più di 2 chilometri dal pozzo di reiniezione Costa Molina 2, dell’Eni. Siamo nella Val d’Agri, dove da 15 anni si estrae petrolio. “Da due buche nel terreno tra loro vicine – afferma la professoressa – abbiamo notato che fuoriuscivano fluidi di colore diverso, scuri in una buca e chiari nell’altra. E con composizione diversa seppur campionati nello stesso momento”. Da lì il dubbio.

    Idrocarburi e metalli pesanti. I primi dati su quelle torbide fuoriuscite sono stati resi noti nello scorso mese di settembre. Poi sono seguiti altri rilievi; ma un dato è apparso subito inconfutabile. E cioè la presenza “in alte concentrazioni di sali, metalli e idrocarburi”. Inoltre quelle acque “scure”, da un’analisi fisica condotta con un ricercatore del Politecnico di Torino (settembre 2013), hanno mostrato una temperatura più alta di circa 10 gradi rispetto alle acque di sorgente della zona. Le caratteristiche fisiche di quelle acque “molto saline” hanno spinto la Colella a fare un’ipotesi. “Non sono acque superficiali, ma provengono dalla profondità”. E quindi: “Da dove possono affiorare, se non dal vicino pozzo di reiniezione dell’Eni?”

    I precedenti negli Stati Uniti. Non sarebbe la prima volta che accade un fatto simile accanto ad un pozzo di reiniezione di acque petrolifere. Si tratta, per la cronaca, di acque che vengono reimmesse nel giacimento ormai svuotato dal greggio e dal gas. Reflui di scarto carichi di sali e metalli pesanti. “E’ già accaduto”, ricorda la Colella, “che acque reiniettate in profondità attraverso simili pozzi riemergessero in superficie”. E’ accaduto negli Stati Uniti, dove, , tra il 2007 e il 2010, si sono verificate “7 mila violazioni nell’integrità di tubi e pozzi”. Addirittura in “1 caso su 6”, ci sono stati problemi di “fuoriuscite e contaminazioni”, si legge su ProPubblica, una rivista statunitense di giornalismo investigativo. Secondo la Colella, quindi, gli “elementi raccolti” a Montemurro andrebbero nella stessa direzione.

    L’Eni: “Nessun collegamento con i pozzi ”. In una relazione diffusa agli inizi di settembre, invece, l’Eni ha cercato di spegnere sul nascere ogni polemica, smentendo “ogni collegamento” tra il pozzo di reiniezione e le fuoriuscite di idrocarburi e metalli pesanti a Montemurro. “Ma leggendo quella relazione – spiega la Colella – restano troppi dubbi”. Si legge, infatti che quelle fuoriuscite “provengono da un pozzo/sorgente naturale che si trova poco più sopra”. Ma non è così. “L’Eni – spiega – non ha neanche analizzato le acque di quel pozzo, quindi come fa ad essere sicura che provengano proprio da lì?”, si chiede. E infine, l’Eni cerca di spiegare la presenza di idrocarburi nella zona argomentando che “fuori da quel terreno c’è una strada e quindi traffico di auto”. Anche questo “non ha senso”. “Noi abbiamo campionato quelle acque esattamente al punto di fuoriuscita mentre sgorgavano, quindi non può esserci stata una contaminazione successiva”, sottolinea la professoressa.

    Le strane analisi dell’Arpab. A settembre, mentre le torbide acque di Montemurro affioravano in superficie, anche l’Arpab (Agenzia Regionale all’Ambiente) ha fatto i suoi rilievi. Pare, però, che il metodo di campionatura sia stato diverso: avrebbero esaminato le acque tre giorni dopo aver fatto riempire una buca profonda e prelevandone solo la parte più superficiale. “Ma in questo modo – lascia intendere la professoressa – gli idrocarburi leggeri si erano già volatilizzati”. Troppi, quindi, i nodi insoluti. Delle acque ‘sporche’ di Montemurro, si tornerà a parlare a breve. “Sto per concludere i miei ultimi rilievi ”, conclude la Colella. E dopo toccherà all’Eni controbattere. Magari ricorrendo ad analisi “più complete e convincenti”. Nel frattempo gli idrocarburi continuano ad affiorare da quei terreni. E a due passi ci sono pecore al pascolo. C’è il biologico. C’è vita. Un danno, per la catena alimentare, difficile da analizzare in prospettiva futura.

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