Nell’Itrec-Trisaia rilevati valori simili a Fukushima foto

Più informazioni su

    I Prefetti lucani firmano da anni un piano fasullo? Il dlgs. n.230 del 17/03/1995, stabilisce all’art. 115 che: “ i piani d’emergenza (ndr) sono oggetto di esercitazioni periodiche, la cui frequenza è stabilita negli stessi – prevista la creazione di squadre speciali d’intervento con idonea preparazione ed attrezzatura – in caso di emissioni radioattive esterne all’impianto e ricadenti in ambiti portuali o demaniali marittimi, la comunicazione deve essere inoltrata alle autorità marittime”. All’art. 126 troviamo che: ”ciascuno negli ambiti di propria competenza, deve effettuare esercitazioni periodiche al fine di verificare l’adeguatezza dei piani di emergenza”. Abbiamo il ragionevole dubbio che nessuno di questi tre punti sia mai stato riportato e/o rispettato all’interno del piano d’emergenza esterna dell’Itrec, una mancanza che potrebbe essere addebitata alle autorità prefettizie e che meriterebbe immediata risposta. Il Prefetto è il responsabile dell’attuazione del piano, in caso d’emergenza si coordina con i sindaci dell’area e vigila sull’attuazione dei servizi urgenti da parte delle strutture della Protezione Civile. Quest’ultima, ha in Basilicata i mezzi e la formazione per affrontare un’emergenza nucleare? Se si verificasse un incidente di vaste proporzioni, il servizio di elisoccorso sarebbe attrezzato in caso di contaminazione radiologica? Potrebbero intervenire anche in fasce notturne? Questo piano d’emergenza esterna è scaduto, si poggia su informazioni parziali e sembra un mero adempimento burocratico.

    Perché della contaminazione dell’Itrec se ne parla a Vienna? In Austria si è parlato, in un convegno del luglio 2010, della contaminazione dell’Itrec di Trisaia: i relatori erano Sogin e Nucleco. Nel rapporto “austriaco” si parla di tre edifici interessati da forte impatto radioattivo anche se sulla mappa sono indicate altre aree, pare, meno contaminate delle prime. I radionuclidi presenti nell’Itrec sono: gli attinidi – Uranio 233,234,235,238 – Torio 232 – prodotti di fissione Cesio 137 e Stronzio 90, prodotti derivanti dall’attività dell’impianto come Cobalto 60, Nichel 59 e 63 ed Europio 153 – 154. Di questi, poco più della metà dei radionuclidi elencati vengono classificati come HTM, ossia come “difficili da misurare”. La relazione illustra diverse tipologie di spettrogammetrie realizzate con strumentazioni capaci di rilevare, oltre la pareti degli ambienti contaminati, i radionuclidi e le emissioni ionizzanti: in tutto vengono citati 6000 esami a bassa ed alta risoluzione. Cosa dicono gli studi di Sogin e Nucleco discussi in Austria ma mai in Basilicata?

    Nell’Itrec valori simili a Fukushima? Le analisi dello studio, riportano l’esistenza di un locale nell’Itrec, ove 4 radionuclidi sono ad una soglia molto elevata rispetto al margine di riferimento ambientale con valori di 10 Bq/cmq o superiori ( simili ai valori rilevati sulla pelle dei lavoratori Tepco a Fukushima ), mentre quasi la metà della superficie dei locali dell’Itrec ha un livello di radioattività superiore alla soglia di riferimento. Il cesio 137 è l’isotopo più diffuso nei locali Itrec, spesso abbinato allo stronzio90. Il cobalto 60 è presente in 4 locali, l’europio 154 solo nelle aree più contaminate. Tali studi sembrano siano stati effettuati per semplificare le procedure di rilevamento e per abbassare i costi della caratterizzazione nucleare. Tuttavia questi esami, a detta degli autori, non illustrano completamente il quadro dei radionuclidi difficili da rilevare, né delle sostanze radioattive derivanti dai radionuclidi chiave, come recita la parte conclusiva della relazione. Perché nonostante i diritti di trasparenza, informazione e tutela sanitaria, la Sogin continua a non dire la verità alle comunità del Metapontino?

    Il rapporto Enea dice che tutto va bene, poi parla di malfunzionamenti. Nella “Dichiarazione Ambientale” del 2010 curata da Enea troviamo altri tasselli del mosaico nucleare lucano. Degna di nota è la sede di rappresentanza dell’Enea a Bruxelles della quale ci piacerebbe conoscere la reale utilità ed i relativi costi di mantenimento, poco giustificabili a fronte delle carenze comunicative riscontrate in patria, soprattutto in materia di monitoraggi ambientali. Nel rapporto vengono elencati gli incidenti accaduti nella storia del Centro, verificatisi quasi esclusivamente, nell’impianto ITREC, gestito solo dal 2003 dalla celebre Sogin. Per tutti i malfunzionamenti accaduti, non è mai stato necessario dichiarare l’emergenza esterna in quanto non si sono raggiunte le soglie previste dalla normativa vigente in materia (DPR 185/64 abrogato e sostituito dal D.Lgs 230/95): sarà vero? Secondo questo curatissimo rapporto, gli ultimi studi ecologici, sanitari e radioecologici sono compresi tra il 1969 ed il 1984: l’Enea si vanta in pagine e pagine della sua meticolosa e altamente qualificata attenzione per l’ambiente, ma dati reali e leggibili sulle matrici ambientali stentano ad essere citati, e le emissioni in atmosfera da parte dell’Enea hanno ben poco di “ambientale”, e vedremo nel prossimo articolo i tonnellaggi di CO2 pompati nell’atmosfera negli ultimi anni.

    Emergenza nucleare: una catena scatenata. La bonifica se fosse iniziata ad insaputa della popolazione dovrebbe immediatamente essere pubblicizzata, e contemporaneamente dovrebbe essere compilato un vero piano d’emergenza esterno, vista la pericolosità ambientale e sanitaria dei lavori di bonifica. La Sogin dovrebbe altresì non solo coadiuvare le pubbliche autorità nella gestione del piano, ma dovrebbe altresì dire la verità, come prescrive l’Euratom, sulle reali tipologie e quantità delle sorgenti radiogene custodite in Trisaia, biossido d’uranio incluso. Oltre l’Euratom, anche la Direttiva Seveso e le prescrizioni in materia di Protezione Civile impongono di “ informare tempestivamente la popolazione che rischia di essere coinvolta o è interessata da un evento radiologico o nucleare, già a partire dalla fase di preallarme, in modo tale da evitare o contenere al massimo le reazioni imprevedibili.” La Direttiva europea Seveso III riporta che: ” Per favorire l’accesso alle informazioni ambientali previste dalla convenzione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, relativa all’accesso alle informazioni sull’ambiente, la partecipazione ai processi decisionali in materia di ambiente e l’accesso alla giustizia (la convenzione di Aarhus) approvata per conto dell’Unione con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale ( 2 ), è opportuno migliorare il livello e la qualità delle informazioni fornite al pubblico. In particolare, è opportuno fornire alle persone potenzialmente coinvolte in caso di incidente rilevante, informazioni adeguate sul comportamento corretto in tale eventualità. Gli Stati membri dovrebbero indicare dove si possono ottenere informazioni sui diritti delle persone coinvolte in un incidente rilevante. Le informazioni trasmesse al pubblico dovrebbero essere formulate in modo chiaro e comprensibile. Oltre a fornire informazioni in modo attivo, senza che il pubblico debba farne richiesta, e senza precludere altre forme di divulgazione, le informazioni dovrebbero essere messe a disposizione anche in modo permanente ed essere adeguatamente aggiornate per via elettronica “. Ed inoltre: “ il pubblico interessato dovrebbe avere l’opportunità di esprimere il proprio parere in merito al piano di emergenza esterno”. Quindi stando alla Direttiva Seveso III, che entrerà in vigore entro giugno 2015, non solo il nucleare ma buona parte delle attività minerarie ed industriali presenti sul suolo lucano potrebbero ricevere qualche bel grattacapo.

    Nel 2011 c’è stato l’ennesimo incidente nucleare? Nel giugno 2011, lo sversamento in mare di 375 Bq/kg di Cesio 137 sarebbe in base al PEE, da considerarsi come incidente con conseguente diramazione dello stato di allarme, cosa che a noi risulta mai fatta, perché una quantità di centinaia di volte superiore alla soglia naturale è stata riversata in ambiente esterno, anzi demaniale, e ad oggi nessuna autorità si è posta il problema di stabilire nel tratto di mare in corrispondenza dello scarico Itrec, nemmeno un divieto di balneazione. Se la fall-out di Chernobyl portò a valori di 80 Bq, il picco del giugno 2011 come lo dovremmo chiamare: incidente o malfunzionamento? A Sogin la risposta. Gianpaolo Farina – Giorgio Santoriello

    Più informazioni su