Discariche, bidoni e altre storie di veleni foto

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    Gli anni ’80 furono protagonisti della crisi del petrolchimico, e in Valbasento (Matera) arrivò la chiusura di alcuni impianti. Enichem non riusciva più a smaltire in regime di economicità di costi, rifiuti di produzioni ormai chiuse ed era impegnata in un “intervento ecologico” che doveva provare a confinare l’inquinamento da mercurio, cloruro di vinile, nerofumo, ecc. nell’area di Ferrandina, dove insisteva pure l’impianto Materit spa che produceva manufatti in cemento-amianto  e in quel periodo cercava di smaltire i rifiuti che non avevano trovato posto tra campagne cittadine e greto del Basento. Il progetto della discarica 2c per rifiuti speciali a Pisticci Scalo fu presentato da Enichem Fibre spa nell’agosto ’86. Da un lato dunque, la crisi e i rifiuti di impianti fermi, dall’altro l’attivazione di altri impianti, così per Enichem bisognava “razionalizzare” lo smaltimento.

    La lungimiranza dell’Eni per l’ambiente. Per poter ospitare rifiuti anche “potenzialmente più pericolosi” di eventuali “future attività produttive” fu concepita la 2C, una discarica con una capacità di 35mila metri cubi composta da due vasche adiacenti, una utilizzata per lo smaltimento dei soli fanghi, e doveva ricevere non solo rifiuti previsti per discariche di seconda categoria di tipo A e B già presenti a Pisticci Scalo nella stessa area e ormai quasi sature, ma anche “altri rifiuti speciali provenienti dalla depurazione degli effluenti”, e quelli tossici e nocivi a eccezione dei rifiuti annessi alle discariche di terza categoria. Rifiuti tossici e nocivi, scrisse Enichem nel progetto, per i quali era previsto lo “stoccaggio provvisorio in un’area apposita per essere poi inviati ad altri impianti per lo smaltimento definitivo”. Su quali rifiuti e dove siano finiti , come vedremo, s’apre un mondo a dir poco enigmatico. L’anno dopo, siamo tra aprile e dicembre ’87, e dopo contatti con il direttore Angelo Di Matteo e l’ingegner Francesco Vizziello del Consorzio industriale di Matera (Asi), che a ottobre avevano firmato e inviato alla Regione assieme a Franco Santeramo dell’Ufficio tecnico Asi il primo stralcio esecutivo per la realizzazione della discarica 2C, il direttore della Materit Lorenzo Mò comunicava al presidente dell’Asi che bisognava finire la discarica celermente perché non sapevano più dove mettere i rifiuti e avevano sistemato come “mucchio coperto su terreno” ben 1,5milioni (mln, ndr) di chili di fanghi industriali. In effetti a luglio ’88 l’Ufficio opere pubbliche e difesa del suolo della Regione inviò alla Materit il progetto di adeguamento della discarica in questione, per ospitare anche quelli da loro prodotti. A luglio ’89 la Giunta Regionale formata da Gaetano Michetti, Gabriele Di Mauro (quello dell’Arbea che ha lasciato un debito da svariati milioni di ero tempo dopo), Giovanni Pittella, Antonio Potenza (quello a cui nell’inchiesta Iena2 stando ai collaboratori di giustizia e alle intercettazioni avrebbe visto la sua campagna elettorale assicurata dalla ‘ndrangheta), Michele Comodo, Giampaolo D’Andrea e Donato Martiello approvava. In ogni modo in quel primo stralcio esecutivo a firma Di Matteo-Vizziello-Santeramo, si riportò anche il costo. Parliamo di 2,4miliardi di lire, cifra che rientrava nel “Progetto per l’infrastrutturazione dell’area d’insediamento delle attività sostitutive dell’Eni in zona Pisticci” finanziato dall’Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno per oltre 15miliardi. Soldi pubblici ovviamente.

    Parole parole parole. Nel 1989 dopo controllo di conformità della Provincia di Matera arrivò all’Asi l’autorizzazione regionale all’esercizio. La Giunta Regionale precisò che c’era la necessità di fare tre pozzi piezometrici per consentire le verifiche della falda, pozzi, si precisa, costruiti successivamente. Tutti quei soldi e non vennero preventivati tre piezometri? Evidentemente non era importante nonostante nel progetto si scrisse che lo scopo era “definire modalità di raccolta e stoccaggio di RSI speciali e tossici e nocivi salvaguardando le acque superficiali e sotterranee dall’inquinamento antropico”. Quell’anno la Materit veniva invece posta sotto sequestro per il problema smaltimento che avevano intanto cercato di risolvere con un contratto che quei rifiuti li consegnava alla camorra, approdata come in Puglia, pure in Valbasento. All’inizio, in attesa dell’acquisto dei mezzi operativi per la coltivazione della discarica dice l’Asi, la gestione veniva affidata alla cooperativa Lavoro e Progresso di Pisticci, e fu stipulata anche una convenzione con Tecnoparco che prese in carico attività tecniche, operative e servizi complementari alla gestione come, appunto, la corretta tenuta dei registri di carico/scarico, il coordinamento dell’impresa per i lavori di compattazione e movimento terra e l’assistenza per la classificazione dei rifiuti. Dopo accesso agli atti abbiamo capito che i registri non si trovano né in Provincia né in Regione. Certo quella “discarica controllata” e lo stoccaggio provvisorio di tossico-nocivi, per Enichem rappresentavano il “primo passo” per realizzare in futuro “un più completo e integrato sistema di trattamento dei rifiuti a servizio di un più ampio bacino di utenza”. Certamente Tecnoparco è decollato, con un bacino di utenza e risultati assai discutibili, se non in termini economici per gli amministratori e la politica che finanzia, come mi raccontò un sostituto dell’antimafia potentina non troppo tempo addietro.

    Quelle indagini della procura di Matera. A maggio ’93 comunque, prima della scadenza dell’autorizzazione, la Provincia inviava alla Procura di Matera una relazione di servizio in cui segnalò che, in contrasto con l’autorizzazione, avevano trovato nella vasca fanghi accumuli d’acqua formatasi “probabilmente” per decantazione dei fanghi, accumuli stoppati probabilmente nel loro scorrere da “sbarramenti di contenimento” fatti con sacchi di rafia contenenti fango e calce. Il responsabile interrogato aveva dichiarato che i sistemi di drenaggio probabilmente non funzionavano perché ostruiti dal fango per colpa delle piogge. I funzionari della Provincia evidenziarono invece che non pioveva da un mese. Perché aveva mentito? Un mese dopo altra relazione alla Procura. Si sottolineò che di quelle acque ristagnate, ancora presenti, non erano arrivate analisi come prescritto. Non si voleva far sapere la composizione chimica? Ad agosto il sostituto procuratore Eustacchio Cafaro delegava il dirigente dell’Ufficio ambiente della Provincia a effettuare indagini per accertare se le prescrizioni relative alla discarica erano a posto, e in caso negativo se ciò avesse provocato inquinamento ambientale. A questo punto con incredibile solerzia d’indagine i funzionari risposero a Cafaro due giorni dopo. Grazie al gran caldo e a due mesi in cui non erano stati più scaricati fanghi non erano più presenti accumuli liquidi. Scrissero pure d’aver incontrato l’amministratore delegato di Tecnoparco, l’ingegner Vizziello che nel ’87 da direttore tecnico dell’Asi era stato tra gli interlocutori con Mò della Materit, e che aveva firmato il primo stralcio e i soldi che servivano per mettere in piedi la discarica 2C. Era tutto a posto dissero al procuratore dalla Provincia. A Vizziello avevano solo suggerito che lo strato superficiale dei fanghi ormai essiccati fossero bagnati o ricoperti d’altro materiale per evitare il “pericolo di polverulenze”.

    Quello che la procura non sapeva? Partiamo da una domanda semplice. Benché era tutto a posto a maggio ’94 l’Asi presentava in Regione il Piano di sistemazione e recupero finale dell’area. Un documento ci aiuta a capire che lì erano già stati smaltiti 9,8mln di chili di rifiuti solidi (16.242metri cubi su 20mila smaltibili, ndr), e 11,4mln di fanghi (10.797metri cubi su 15mila, ndr). Nel biennio ’92/’93, quando la procura si mosse, erano state smaltite le maggiori quantità di rifiuti speciali, 5mln di chili (su 9.721.320 del quinquennio ’89/’93, ndr), e soprattutto 76.980 chili di rifiuti tossici e nocivi. Per quanto riguardava le quantità di fanghi in quel biennio ne erano stati smaltiti 2,750mln chili (su complessivi 10.633.500 del quinquennio, ndr), ma si scriveva pure che la differenza tra la quantità di fanghi stoccati e rilevata era dovuta a “evaporazione e percolazione di acque “. Così mentre l’Enichem, per la crisi, aveva messo fuori 1.900 addetti (a cui oggi restano solo malattie) perché glielo avevano imposto i produttori europei di fibra, la falda a 14metri sotto il piano campagna e la ricerca di materiali inerti al fine di realizzare una struttura impermeabile naturale, per l’Asi era già una buona garanzia dall’aggressività di quei rifiuti. Per capire l’aggressività e cosa percolava con le piogge o evaporava con la bella stagione dobbiamo leggere il capitolo due del primo stralcio del progetto. Quello riguardante le produzioni. Si lavoravano solventi e sostanze tipo acrilonitrile, metilacrilato, caprolattame, acido tereflatico, monoetilenglicole, metanolo alcoli superiori quale additivo per carburanti auto, alcol metilico, acido solforico, mescole butirriche, e c’erano altri impianti per vernici e tessuti con resine e i loro scarti. Nel ’85, anno preso ad esempio dall’Asi per capire quantità e qualità dei rifiuti, si producevano 500 tonnellate annue di Rsu, 630 di rifiuti speciali, 3.500 di fanghi, e 3.300 di inerti. Dunque dal ’85 al ’89, anno di autorizzazione all’esercizio, erano stati già presumibilmente prodotti 2,5mln di chili di Rsu, 16,5mln di inerti, 3,15mln di speciali e 17,5mln di fanghi? I tossico-nocivi stimati in 60mila chili nel’85, erano composti da solventi clorurati e organici, e fenoli, anche in “soluzione mista”, e per i quali s’intendeva realizzare la piazzola di 100 metri quadri per lo stoccaggio provvisorio già autorizzato dalla Regione. Perché i rifiuti tossici compaiono nel ’85 come provvisoriamente stoccati, scompaiono, e ricompaiono nel biennio ’92/’93?

    Quando la scienza nostrana diventa un’opinione. C’è poi la parte più interessante. Solo nel 2006 la Regione ‘stressata’ dal Ministero ricordò a Provincia, Asi, Comune di Pisticci, Arpab, ecc che la normativa dell’82 vietava di smaltire rifiuti tossici e nocivi. Possibile che la procura non sapesse? Ad ogni modo dell’indagine non se ne seppe più nulla e la sistemazione finale del ’94, che doveva risolvere gli inconvenienti e provvedere a un sistema di controllo delle acque superficiali e sotterranee, costò altri 545mln di lire. Gli ulteriori soldi pubblici risolsero il problema? Sì per il Consorzio Basi, sparito dalla faccia del pianeta (gestito da chi?), che analizzò l’area nel ’99. “Consorzio che rilevò che cianuri, metalli pesanti, solventi aromatici e clorurati, cloruro di vinile, acrilonitrile, e idrocarburi <C12 erano inferiori al limite analitico, riscontrando solo in alcuni punti tracce di idrocarburi >C12 e IPA (idrocarburi policiclici aromatici, ndr). Nel 2001 invece, lo Studio Omega Group eseguì 89 campionamenti tra 3,5 e 4metri di profondità segnalando tutt’altro. Uno “stato generale di colore anomalo e odore caratteristico” per cominciare. Ricostruendo poi l’assetto litostratigrafico della zona sino a 4metri definì le aree con terreno di riporto, costituito, scrisse, presumibilmente da scarti di produzione industriale con uno spessore da 1 a 5metri sotto terra. E che l’abbondanza di anomalie riguardavano sia le vecchie discariche (foto1, ndr), sia la restante parte indagata, tra cui la discarica 2C. Si scrisse che vi era anche una diffusa presenza di amianto, in due zone crisostilo (la peste bianca, ndr), in maniera “massiccia”. Possibile che solo due anni dopo la situazione era tanto diversa da far chiedere che l’area rientrasse nella denominazione di Sito di interesse nazionale da bonificare? Perché la Syndial nel 2003 affermò che lo Studio Omega aveva evidenziato che l’amianto del tipo crisostilo era presente in un solo campione? Del resto Syndial affermò pure che nella “scarpata” erano presenti zone d’accumulo di materiale e terreno di riporto rimossi nel ’99 su incarico di Enichem da Ambiente spa, una controllata Eni via Snam, Italgas e Agip petroli.

    I mescitori. Il 13 giugno del 94, due mesi prima che la Provincia, delegata della Procura di Matera, le inviasse l’ultima relazione da cui si evinceva che era tutto a posto, come abbiamo visto, il presidente della Regione Antonio Boccia sospende l’esercizio della discarica sino al 30 giugno. Per la Regione erano sufficienti due settimane a rimuovere gli inconvenienti e definire un sistema di controllo. La Regione sapeva in anticipo che la Provincia di Matera avrebbe relazionato il tutto ok alla Procura? Intanto s’andò avanti a gestire la situazione mediante proroghe all’esercizio, e a fare varianti di progetto per la sistemazione finale. Nel 2002 arrivò la chiusura per saturazione. L’ultima presa d’atto regionale al progetto di variante di sistemazione finale arrivò nel marzo 2003. Variante che prevedeva il “travaso di parte dei rifiuti solidi dall’apposita vasca a quella per i fanghi” che presentava ancora una capacità di stoccaggio. A settembre 2003 la Provincia pare non si preoccupasse del travaso dei rifiuti, ma dei soldi. Inviò una comunicazione all’Asi in cui gli ricordava che la polizza fidejussoria relativa alla copertura economica della “sistemazione” era garantita per 309.874euro (erano partiti da 545mln di lire, ndr), ma che dal quadro economico si rilevava un costo di 439.200euro, e invitava l’Asi a integrare la polizza con sollecitudine. Sul travaso dei rifiuti il Ministero dell’ambiente ricordò che solo nel 2006 la Regione aveva inviato una nota in cui comunicava che il “divieto di miscelazione” restava valido anche se il travaso era stato eseguito prima della definitiva chiusura dell’impianto, e aveva rilevato che da parte della Provincia non era stata eseguita nessuna azione “volta alla verifica della miscibilità”. Nel 2006 la Regione ricordò alla Provincia di eseguire accertamenti sulla tipologia di rifiuti tossico-nocivi effettivamente smaltiti e la Provincia rispose di comunicargli modalità di accertamento e verifica. Qualche giorno dopo fu l’Arpab di Matera, a firma Emanuele Scarciolla, a intervenire, comunicando alla Regione che sarebbe stata opportuna la verifica dei formulari dei rifiuti smaltiti, e che si sarebbe potuto solo dopo procedere al campionamento nel corpo discarica, operazione con “non poche difficoltà”. L’Asi rispose che lì si potevano smaltire eccome tossico-nocivi e aveva la documentazione per capire la tipologia (ribadiamo, documentazione da noi non trovata né in Regione né in Provincia, la tirasse fuori l’Asi dunque). La Regione rispose rettificando, si potevano smaltire, ma il divieto di miscelazione restava.

    Il mistero delle anomalie. Lo Studio Omega evidenziò numerose anomalie nel sottosuolo, e in una zona in cui i materiali estranei avevano una diffusione pari alla massima profondità dello scavo (4m) “fusti corrosi”. Nedo Biancani dello Studio Omega, che aveva avuto diverse collaborazioni con la Provincia di Matera, mi raccontò che dopo aver evidenziato questi e altri fatti divenne “persona non gradita” in Basilicata. Cosa si stava nascondendo? Per capirne di più dobbiamo esaminare un altro studio sulla Valbasento del 2004 in cui “l’articolata applicazione di tecniche geofisiche basate su diverse sorgenti magnetiche ed eletromagnetiche serve per ottenere informazioni dettagliate sulla presenza di oggetti interrati nel sottosuolo e fare stime circa la forma, le dimensioni, e la profondità”. Un metodo specifico per trovare fusti sotterrati illegalmente contenenti rifiuti pericolosi o liquidi tossici, capaci di contaminare pesantemente terreni a uso agricolo, falde idriche, alterando la catena alimentare e ponendo un serio rischio alla salute umana e all’ecosistema, che ha già prodotto risultati in indagini di polizia ambientale. A Pisticci ci si concentrò lungo la pista Mattei, caratterizzata, si scrive, dalla presenza di depositi discontinui di rifiuti. Una prima area, denominata sito1 (foto2) presentò un’ampia anomalia magnetica nella parte centrale, dovuta probabilmente a materiale sparpagliato con una forte magnetizzazione, ma in una sezione riscontrarono un’anomalia ben definita che attraversava tutta l’area, e questa volta la linearità dell’anomalia poteva essere dovuta alla presenza d’un vasto corpo magnetizzato nel sottosuolo. In uno step successivo si fecero altre misurazioni per ottenere informazioni sulle proprietà magnetiche. E si sottolineò la presenza d’una elevata suscettibilità magnetica in corrispondenza dell’anomalia spiegabile probabilmente tenendo conto d’una sorgente allocata a grande profondità. I risultati delle misure radar la collegavano a uno stesso oggetto forse “tra 8 e 10m”. Altre misure mostrarono tra 4 e 6m di profondità risultati chiari presumibilmente collegabili alla forma degli oggetti interrati.

    Bidoni al cobalto? Anche nel sito3, un’area di 48×12 m2, s’ottennero riscontri. I test prodotti dall’analisi di fusti interrati sono importanti per la letteratura scientifica al fine di descrivere le anomalie di un’aerea sospetta e individuare zone di interramento e metodi per tirarli fuori. Anomalie che possono essere distinte come campi magnetici generati da corpi eterogenei di ferro o appunto da fusti interrati. In un test eseguito per comprendere il comportamento del segnale nel caso di 12 fusti da 220litri sepolti in un’area caratterizzata da depositi fluvioglaciali consistenti di conglomerati in una matrice limo-sabbiosa, il segnale del gradiente verticale corrispondente ottenuto fu di 200nT/m (nano tesla/metro, ndr). Un secondo test effettuato in un deposito argilloso-sabbioso dove erano stati sepolti venti bidoni orientati verticalmente alla profondità di 4/5m mostrò un’anomalia magnetica caratterizzata da un’intensità di 290nT/m. Ci chiediamo, se a Pisticci nell’area definita sito3 è venuta fuori una chiara anomalia magnetica che un’investigazione più approfondita in una zona circoscritta di 4×12 m2 ha mostrato con un’intensità pari a 9.000nT/m, ossia 31volte più alta del test con venti bidoni orientati verticalmente alla profondità di 4/5m come abbiamo visto (fig.2), e se chi ha eseguito l’indagine a Pisticci Scalo ha scritto pure che è “probabilmente dovuta alla presenza di bidoni metallici interrati nel sottosuolo”, che aspettiamo a controllare? Certo “la presenza di rifiuti interrati nell’area industriale della Val Basento – si scrive nella ricerca – produce fenomeni di contaminazione del luogo”. Oltretutto – continuano – concentrazioni di cobalto, rame, nichel, piombo e zinco sono state misurate nei campioni di suolo raccolti negli stessi punti di campionamento in cui era misurata la suscettibilità magnetica. “Dovrebbe essere evidente -scrivono – che le misure di suscettibilità magnetica sono ben correlate con le concentrazioni di metalli pesanti”. La domanda a questo punto è: quali rifiuti contengono questi metalli pesanti? Il cobalto ad esempio, come dice l’Enea è tra i cosiddetti “materiali critici”, contenuto nei catalizzatori esausti provenienti dalla sintesi industriale dell’anidride trimellitica (un plastificante), usato nell’industria petrolchimica e chimica. Può trattarsi di rifiuti interni? Pure all’Itrec, dove ritrattarono 30kg al giorno di combustibile uranio-torio, si produssero oltre a rifiuti liquidi a media e alta attività anche rifiuti solidi. Tra essi c’erano spezzoni di elementi combustibili prodotti con un’attività gamma dovuta a Cobalto60.

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