Crack di Veneto Banca, in Basilicata bruciati 45 milioni di euro

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    Un disastro finanziario da cinque miliardi di euro quello di Veneto Banca. Tutti i media se ne sono occupati, questa estate, quando il prezzo delle azioni è passato da 40,75 euro a 0,10 euro. In Basilicata erano state collocate azioni per 45 milioni di euro che con la svalutazione decisa dal Cda della banca, nel maggio scorso, oggi valgono quasi zero 

    Il crack ha coinvolto imprenditori, artigiani, giovani, pensionati e anche Banca Sella Holding, le cui azioni derivavano da una storica partecipazione in una banca pugliese, poi confluita in BancApulia, che a sua volta è stata comprata dal Gruppo Veneto Banca. Ed è proprio agli sportelli di BancApulia (una ventina in Basilicata) che i risparmiatori lucani sono caduti nella rete. In fumo 14 milioni di euro nella provincia di Matera e 31 milioni di euro nella provincia di Potenza. Le città che hanno subito più danni dal crack sono Potenza (quasi 9 milioni di euro), Matera e Lavello (6 milioni di euro), Melfi (5 milioni), Avigliano (2,3 milioni), Tricarico (2 milioni), Bernalda (1,8 milioni), Policoro (1,6 milioni). Le associazioni dei consumatori avrebbero sul tavolo almeno 200 richieste di aiuto, ma i risparmiatori lucani finiti nella rete del disastro sarebbero circa un migliaio. 

    Come si è arrivati al crack. Una delle caratteristiche fondamentali che contraddistingue le Banche Popolari è il fatto che il valore delle azioni viene stabilito dalla società stessa, in assenza di un “confronto” con il mercato. Negli anni, Veneto Banca ha progressivamente aumentato il valore delle proprie azioni, paventando risultati economico-finanziari invidiabili. Senonché, nel 2013, la Banca d’Italia –seppur con notevole e incomprensibile ritardo – ha redatto una Relazione nei confronti dei vertici societari, infliggendo ai membri del Consiglio d’Amministrazione della Banca sanzioni per complessivi € 2,7 milioni: ciò in ragione, tra le altre cose, di gravi irregolarità contabili. A partire da tale momento, la situazione della Popolare Veneto Banca si è rapidamente aggravata, con pesanti conseguenze per gli azionisti. 

    L’inchiesta penale. In particolare, le Procure della Repubblica di Treviso e Roma hanno avviato un’inchiesta penale nei confronti della gran parte dei soggetti che hanno occupato i vertici societari nell’ultimo decennio: i reati contestati sarebbero l’usura, l’ostacolo all’attività delle Autorità di Vigilanza nonché l’aggiotaggio. Più nello specifico, pare che i vertici dell’Istituto di Credito abbiano commesso una serie di gravi irregolarità, tali da falsare gravemente il valore attribuito alle azioni offerte al pubblico. È emersa la concessione di finanziamenti in favore di soggetti insolvibili nonché di alcuni membri del Consiglio di Amministrazione. Inoltre, è stata constatata la prassi diffusa di concedere finanziamenti ai clienti per consentire a questi ultimi di acquistare azioni Veneto Banca. In altri casi, la Banca ha utilizzato le aperture di linee di credito come “strumento di pressione” al fine di costringere i clienti ad acquistare le partecipazioni societarie. In alcuni casi, l’istituto di credito è persino giunto a concedere mutui di scopo finalizzati al solo acquisto di azioni dell’istituto stesso. Un risparmiatore del Potentino ci racconta che nel 2013 è stato indotto a comprare azioni in cambio della concessione di un prestito di 18mila euro a tasso “agevolato”. 

    Il lucano Vincenzo Consoli sarebbe l’artefice del disastro. Vincenzo Consoli, ragioniere, classe 1949, di Miglionico. Partito dalla Basilicata, approda venti anni fa circa, alla Popolare di Asolo e Montebelluna, nel Trevigiano, profondo Nordest. Sotto la sua direzione la piccola banca di provincia diventa Veneto Banca con 47miliardi di raccolta, 6200 dipendenti e 575 filiali tra Nordest, Lombardia, Piemonte, Marche, Puglia e Basilicata, ma anche in Albania, Moldavia, Croazia. Amministratore delegato della Banca dal 2008, già direttore generale. Nel 2009, un anno di crisi economica, Consoli ha percepito tre milioni e 700mila euro di compensi. Uno dei manager più pagati d’Italia. Nel 2010 il manager lucano chiede un mutuo alla sua banca, puntualmente concesso, di 3 milioni, con i vantaggi riservati ai dipendenti, a un tasso di 1,5 per cento annuo. Nel 2006 sempre Consoli è beneficiario di un’altra apertura di credito per 2,5 milioni sempre concessa dalla sua banca. Nell’agosto scorso Vincenzo Consoli viene arrestato e gli sequestrano 1,8 milioni di euro. È accusato di aggiotaggio e di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle attività pubbliche di vigilanza. Ironia della sorte: i lucani raggirati da un loro conterraneo.

    Chi tutela i risparmiatori lucani? La Regione Basilicata ha qualcosa da dire? C’è da dire che, mentre in Veneto e in altri territori, sia i risparmiatori sia le istituzioni locali si sono attivati per trovare soluzioni alla drammatica situazione, in Basilicata tutto sembra tacere. La stampa locale è rimasta in silenzio, la Regione non ha aperto bocca, i risparmiatori truffati agiscono, magari in pochi e ciascuno per proprio conto, nell’ombra. La costituzione di parte civile di Regione e comuni, come hanno fatto in Veneto, sarebbe un atto concreto per tutelare i più deboli e costituire cosi una vera e propria class action. La Regione Basilicata, così come sta facendo la Regione Veneto, potrebbe affidare, attraverso gara ad evidenza pubblica, ad uno studio legale la rappresentanza di tutte le vittime del crack, in modo da sollevarle dal peso economico che serve per ottenere il risarcimento. I primi a svegliarsi e ad uscire dall’ombra, però, devono essere i risparmiatori vittime del crack.

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