Un fiore da 20mila euro al giudice e il processo si aggiusta video

L’audio che pubblichiamo, racconta in emblematica sintesi, le dinamiche, di quello che, da anni, sembrerebbe un “sistema” illegale di gestione delle procedure delle aste fallimentari.

La punta dell’iceberg e le minacce di suicidio

A quanto pare i cittadini che, dopo aver subito per anni, vessazioni, umiliazioni e ingiustizie, hanno alzato la voce non sono molti. Rappresentano, però, la punta di un iceberg molto vasto. A Taranto ci sarebbero quasi 750 case all’asta, con centinaia di famiglie destinate a finire sulla strada. Non solo case. Molte aziende agricole sono finite nelle maglie delle procedure fallimentari e molte altre rischiano di fare la stessa fine. Sono gli stessi imprenditori agricoli a lanciare l’allarme e denunciano “il comportamento dell’autorità giudiziaria che vende i beni all’asta a faccendieri di mestiere svalutandone il prezzo che non copre il totale dei debiti dell’esecutato che continua a rimanere indebitato e privato dei propri beni; contestano il comportamento dell’autorità giudiziaria che non consente all’esecutato un riscatto di posizione anche quando, rilevato il comportamento usuraio della banca, procede imperterrita nella vendita del bene…” Insomma, l’unica preoccupazione dei giudici tarantini sembra essere quella di vendere, vendere, vendere, a tutti i costi. Perché? A chi? Lo vedremo. Fatto sta che mentre scriviamo, da Taranto ci segnalano che un imprenditore agricolo minaccia di darsi fuoco, perché la sua azienda, il cui valore, “sottostimato”, è di 600mila euro, è stata venduta all’asta ad un prezzo di circa 150mila euro.

E che c’entra… noi le case mica le regaliamo… e comunque il prezzo base è più che sufficiente, noi vendiamo anche e sino a euro 20.000,00!”

Questa è la risposta che il giudice delle esecuzioni avrebbe dato alla signora Giovanna Montemurro, o meglio alla figlia di lei: … “Al che mia figlia gli evidenziava che in base all’ultima ordinanza di vendita, da lui (il giudice Martino Casavola) firmata, il valore del bene si era di molto abbassato, scendendo al di sotto della metà, con la conseguenza che pur vendendo la nostra casa, nemmeno i debiti si sarebbero coperti (debiti che nel frattempo erano fortemente lievitati); (…). Mi risulta che, a quel punto, il magistrato rispondeva così: “E che c’entra… noi le case mica le regaliamo… e comunque il prezzo base è più che sufficiente, noi vendiamo anche e sino a euro 20.000,00”. Eppure, scrive la signora Montemurro nel suo esposto, non si poteva procedere all’asta perché il prezzo fissato come base, pari a euro 49.800,00, era inferiore al limite minimo di legge, ossia il limite della metà del valore del bene espropriando, così come determinato dallo stesso Tribunale. In questo caso il prezzo stabilito è pari a euro 118.000,00, per cui la metà sarebbe stata al massimo euro 59.000,00. Quindi non si poteva procedere all’asta poiché il prezzo base non avrebbe potuto consentire un ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori, anche tenuto conto dei costi della procedura esecutiva. Purtroppo il giudice dell’esecuzione – scrive la signora Montemurro – ha venduto la nostra casa all’asta durante l’udienza del 26 maggio 2016, con un tempismo sospetto.

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