Fuoriuscita di greggio area adiacente al Centro Oli, denuncia alla Direzione antimafia foto

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    Riceviamo e pubblichiamo il testo della denuncia di Liberiamo la Basilicata inviata alla Direzione nazionale antimafia.

    Da alcuni giorni è in corso l’ennesimo inquinamento presso il Centro Oli di Viggiano (Cova) dell’Eni, l’impianto raffineria di desolforazione del greggio estratto in Val d’Agri. La fuoriuscita di greggio è copiosa nell’area immediatamente adiacente al Centro Olio Val d’Agri. Non è stato ad oggi ancora individuato il punto esatto della perdita di questa sostanza dall’apparenza e dalle esalazioni simile ad olio minerale, una sostanza che si propaga attraverso le acque bianche e la falda. Ad accorgersene sono stati anche i fontanieri al servizio del depuratore del Consorzio Sviluppo Industriale di Potenza i quali hanno notato sia gli idrocarburi e le sostanze oleose in un piccolo laghetto antistante il depuratore consortile sia all’interno dell’impianto di depurazione. Gli operatori hanno proceduto a segnalare alle autorità l’accaduto già alla fine di gennaio a seguito della quale è avvenuto il sequestro da parte del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri Noe di un pozzetto ispettivo ubicato davanti alla Raffineria il 3 febbraio scorso. Il punto è che la perdita si è talmente diffusa attraverso la falda che non è limitata al solo pozzetto posto sotto sequestro perchè diversi altri pozzetti sono pieni di idrocarburi e rifiuti da attività estrattive e detti rifiuti liquidi hanno raggiunto in parte anche il vicino Fiume Agri.

    Liberiamo La Basilicata stigmatizza l’atteggiamento semplicistico e superficiale della Regione Basilicata, la quale pur avendo inviato un proprio ente strumentale (l’Arpab) a verificare l’accaduto non ha inteso emettere un provvedimento d’urgenza di sospensione delle attività estrattive e di desolforazione fin tanto che non viene scoperto in punto preciso della perdita. Non stiamo parlando di qualcosa di trascurabile nè sotto il profilo delle quantità né sotto il profilo della pericolosità delle sostanze che si stanno disperdendo nel sotto suolo e nella falda fino ad arrivare al fiume Agri ed i torrenti che alimentano l’invaso del Pertusillo. Se non si produce un atto a salvaguardia del territorio della Val d’Agri che sta subendo ulteriori cattivi odori e forti miasmi e l’inquinamento delle acque di falda che per loro natura si propagano in aree vaste del territorio partendo dal punto di probabile inquinamento procedendo nel sottosuolo sino ad arrivare ad un laghetto artificiale al servizio del depuratore del Consorzio Asi, e dal Depuratore al Fiume Agri dove sono state avvistate macchie in prossimità della diga del Pertusillo che porta acqua potabile fino all’acquedotto Pugliese. Le notizie che si conoscono rispetto alla probabile fonte di questo ulteriore accertato ed inequivocabile inquinamento sono che l’Eni ha dichiarato alla stampa che all’interno della proprietà Raffineria Centro Oli Viggiano e ad una profondità di circa 6 metri hanno accertato la presenza di liquidi contenenti idrocarburi. Contemporaneamente sono visibili auto spurghi delle aziende contrattiste di Eni, intente a prelevare ingenti quantitativi di queste sostanze allo stato liquido che fuoriescono anche da un altri pozzetti (piezometri) posti nelle immediate adiacenze del Centro Oli. Si tratta di sostanze che per loro natura sono assimilabili alle acque di strato ed ai fanghi che vengono trattati all’interno della Raffineria e che già in modo visivo ed olfattivo senza neppure attendere i risultati delle indagini del Noe e dell’Arpab è possibile definire rifiuti speciali pericolosi da attività estrattive e come tali vanno ricercate tutte le fonti di produzione di questi liquidi al fine di interromperne i flussi nell’ambiente circorstante, contemporaneamente occorre utilizzare non delle singole autobotti ma una serie di elettropompe di profondità da porsi in tutti i piezometri (pozzetti ispettivi) e verificare in un raggio più ampio sino al vicino Fiume Agri probabili sacche sotterranee di accumulo di detti rifiuti.

    La salute e l’ambiente non possono attendere gli esiti delle indagini degli inquirenti, bisogna agire tempestivamente per evitare-ed impedire- che l’inquinamento possa portare ad ulteriori e più gravi conseguenze a partire dalla contaminazione da idrocarburi, sostanze chimiche e metalli pesanti delle acque invasate del Pertusillo ben 155 milioni di metri cubi destinati ad uso umano e potabile per milioni di pugliesi, per una parte di lucani e per i cittadini del Mezzogiorno incluso le acque ad uso irriguo. Pertanto non bisogna aspettare che il danno arrivi alla irreparabilità per agire, abbiamo superato la fase della previsione, superata la programmazione che alla luce della propagazione degli inquinanti è risultata non all’altezza della situazione siamo nella fase del controllo e dell’attuazione di un protocollo volto alla tutela dell’integrità ambientale e della salute dei cittadini. Sono protocolli ‘previsti nel trattato per i Paesi Membri dell’UE, procedure previste dal Testo Unico sull’Ambiente Dlgs 152/2006, dall’art 32 della Costituzione Italiana e vanno esercitati nel rispetto della Convenzione di Aarhus di Copenaghen ovvero con la massima trasparenza e la massima informazione ai cittadini coinvolti quelli del luogo ovvero i residenti in Val d’Agri e quelli che dalla Val d’Agri ricevono le acque ad uso umano e potabile dai rubinetti delle loro case in particolare a quei milioni di pugliesi totalmente ignari di quanto in queste ore sta accadendo intorno alle estrazioni petrolifere del Permesso Val d’Agri.

    Liberiamo la Basilicata chiede che si adottino ogni utile soluzione finalizzata ad evitare il disastro ambientale irreparabile producendo, attraverso le migliori tecnologie che la scienza contemporanea ci mette a disposizione, l’interruzione dell’attività antigiuridica in essere ed impedire la propagazione di questi inquinanti che mettono in serio rischio e pericolo le acque invasate all’interno dell’Invaso del Pertusillo e nei fiumi e nei torrenti che lo alimentano. Inoltre si porta a conoscenza dell’autorità in indirizzo di un falso clamoroso sui quantitativi di rifiuti pericolosi smaltiti annualmente in Basilicata. Basti mettere al confronto i dati indicati dall’Ispra rispetto ai rifiuti smaltiti e trattati in Basilicata con gli atti che hanno prodotto gli arresti ed i sequestri di fine marzo 2016, sarebbe bastato un confronto semplice semplice per capire il raggiro cui sono stati sottoposti i lucani da anni a questa parte. Nel corso della Commissione sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti seduta del 24 gennaio 2013, oltre ad affermare la presenza di 890 siti inquinati venivano quantificate le tonnellate di rifiuti pericolosi smaltiti in Basilicata. A fronte di 720.594 tonnellate di rifiuti smaltiti si giungeva alla cifra pari al 19,6% di rifiuti pericolosi pari a 145.535 tonnellate ritenendo questa soglia estremamente alta e pericolosa. Falso, falsissimo, dalle indagini della Direzione Nazionale Antimafia (procedimento penale 4542/R.G.N.R.) e (3154/R.G.G.I.P.) che hanno prodotto gli arresti ed i sequestri di fine anno i dati sono estremamente più alti. I rifiuti pericolosi smaltiti illegalmente con tanto di reato di traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi raddoppiano le quantità di rifiuti urbani e non pericolosi smaltiti annualmente in terra di Basilicata e se per la relazione Ispra è grave la soglia del 19,6% ( 145.535 tonnellate) di rifiuti pericolosi sull’ammontare complessivo mi chiedo cosa si debba scrivere e considerare se si scopre che i pericolosi sono (oltre un milione di tonnellate l’anno in più vedasi atti delle indagini sopra menzionate) e che pertanto rappresentano il 200% in più e per giunta il loro smaltimento è avvenuto in modo illegale.

    A tutto questo occorre aggiungere un altro problema che non va sottovalutato, la classe dirigente pubblica attestata al controllo dell’Ambiente è di fatto sotto processo con reiterazione degli stessi reati anche a distanza di anni (disastro ambientale fenice si allegano prime due pagine) e recente operazione per traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi (procedimento penale 4542/R.G.N.R. e 3154/R.G.G.I.P. si allegano prime pagine) senza che agli stessi sia mai stata aperta né una procedura disciplinare né una rotazione ad altro incarico né altro genere di provvedimento. Pertanto succede che le notizie che pervengono alle autorità locali di Regione e Provincia nonché agli enti strumentali (Arpab) continuano in larga misura ad essere gestiti da persone sotto imputazioni per reati in materia ambientale e contro la Pubblica Amministrazione. La gestione di questa emergenza così come è accaduto per la gestione di emergenze ambientali avvenute precedentemente non produce alcuna garanzia né per la tutela della salute pubblica, né per la tutela dell’Ambiente tantomeno per il rispetto delle vigenti leggi e normative in materia. Informo altresì che oggi 10 febbraio 2017 ho contattato a mezzo social il Presidente della Commissione Ecomafie sig. Alessandro Bratti per chiedere un intervento della Commissione rispetto all’incidente in corso in questi giorni, il Presidente Bratti mi ha risposto che ( Denunci tutto all’Arpa e alla Procura nonché ai Carabinieri, Non riusciamo a fare accertamenti diretti in questo momento). Si allegano alcune immagini da cui si evince tanto l’inquinamento della falda in corso in questi giorni, quanto la presenza di dirigenti a processo che si ritrovano a giudizio dopo circa sei anni con tanto di reiterazione del reato. In alcuni casi anche promossi ad incarichi superiori saluti.

    Giuseppe Di Bello, Liberiamo la Basilicata

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