Il petrolio lucano invade l’Italia

Nota di Mirella Liuzzi, deputata M5S e Vito Petrocelli, senatore M5S: "Il petrolio della Basilicata non è solo un affare che riguarda i lucani e, di riflesso, i tarantini"

Il petrolio della Basilicata non è solo un affare che riguarda i lucani e, di riflesso, i tarantini.

Gli effetti e le distorsioni dell’attività mineraria in Basilicata, per estrarre appena il 7% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 4% del fabbisogno nazionale di gas, cominciano a interessare anche il resto d’Italia e a non essere più solo una prerogativa degli abitanti della Val d’Agri.

I quali convivono da 20 anni con l’infernale fiamma del centro oli di Viggiano, area appenninica lucana dove le malattie del sistema circolatorio, ad esempio, sono più alte rispetto al livello medio di mortalità regionale, secondo un recente studio di Valutazione di impatto sanitario (Vis), che conferma una Relazione sanitaria regionale del 2000 redatta dall’istituto Mario Negri Sud.

La Total, costretta ad avviare la produzione della concessione Tempa Rossa entro il 31 dicembre 2017, visti i ritardi per la costruzione dei depositi franco frontiera al porto di Taranto e per l’ampliamento della raffineria Eni, ha deciso di presentare al Ministero dell’Ambiente una doppia istanza per portare il greggio lucano da raffinare fino a Falconara Marittima e a Roma, dove addirittura la raffineria (ubicata a Pantano di Grano) è stata dismessa dal 2012.

È di fatto una sostanziale invasione di mezzi pesanti lungo le due direttrici stradali costiere dell’Italia, con 170 autobotti che ogni giorno devono trasportare 20 mila barili di greggio quotidiani (che diventeranno 50 mila) dalla Basilicata verso Roma (443 km di sola andata) e Falconara (600 km di sola andata).

Questo progetto, oggetto dell’inchiesta “Trivellopoli” ancora in corso a Potenza, con 47 rinvii a giudizio e dieci società coinvolte, fra le quali anche l’Eni, a noi sembra una forzatura mediatica delle società petrolifere, con lo scopo di fare pressione sulle istituzioni pugliesi e nazionali, di far credere all’opinione pubblica che l’oleodotto e l’ampliamento delle infrastrutture a Taranto siano la soluzione meno impattante e più “sostenibile”, al fine di ottenere quegli adeguamenti delle infrastrutture minerarie nella Città dei Due Mari, utili ai loro affari e non alle entrate economiche dell’Italia. Appare, infatti, molto difficile credere che la Total abbandoni così facilmente i vantaggi fiscali del porto franco del serbatoio pontile di Taranto, per una improbabile scelta, sia economica che pratica, di inondare permanentemente le strade del sud Italia e del centro di Italia con autobotti piene di greggio.
Questa vicenda è utile per capire che la questione petrolio NON è solo una questione lucana: è stata strumentalmente e mediaticamente confinata in Basilicata, affinché non ci fosse una consapevolezza nazionale dei suoi scarsi risvolti economici e dei suoi elevati problemi collaterali di ambiente e di salute collettivi.

E per ribadire che, dopo tre presidenti del consiglio degli ultimi 4 anni, che si sono fatti dettare l’agenda e le politiche energetiche dalle compagnie petrolifere e non dai reali interessi del Paese, forse è arrivato il tempo di spezzare questa dipendenza cronica tra politica e petrolio, portando al Governo una forza politica come il M5S per attuare finalmente una transizione energetica oramai inevitabile.

Mirella Liuzzi, deputata M5S

Vito Petrocelli, senatore M5S