Violenza e molestia, in Italia si ha un’idea confusa e spesso errata

La scrittrice Antonella Caprio: "Riconoscere e controllare i propri sentimenti e le proprie emozioni, nel rispetto di quelli degli altri. Non è facile ma è una sfida che dobbiamo affrontare se vogliamo migliorare le cose"

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Abbiamo parlato di violenza sulle donne con Antonella Caprio, scrittrice che da tempo si occupa del tema nei suoi libri e nei suoi testi per il teatro.

Il suo interesse per la condizione femminile nell’Italia di oggi è testimoniato dal suo impegno e dalle sue opere, tra cui Un granello di colpa, scritto con Daniela Ciriello, e la pièce teatrale “Questa storia sbagliata”. Pensa ci sia ancora molto da fare per vincere le resistenze nei riguardi delle discriminazioni di genere?

Penso che ci sia ancora molto da fare non solo in Italia ma in tutto il mondo per vincere le resistenze nei riguardi delle discriminazioni di genere. Non saprei da dove iniziare a raccontare. La questione è così articolata e complessa che è difficile descriverla e sintetizzarla in un’intervista, in un libro, o in uno spettacolo teatrale.

Inizio con il dire che i Paesi europei dove si registrano più casi di violenza sulle donne sono i Paesi del nord Europa (con a capo la Danimarca), cioè proprio quei Paesi che noi consideriamo più civilizzati. Ma tale risultato non deve trarre in inganno.

Non è che in quei luoghi vi siamo più uomini violenti, anzi, la questione è che nei Paesi del nord Europa vi è maggior consapevolezza, da parte delle donne, di che cos’è la violenza, di che cos’è una molestia, mentre qui in Italia si ha un’idea confusa e a volte addirittura errata.

Le donne italiane sono più tolleranti rispetto all’aggressività, ai soprusi, agli abusi nei loro confronti perché non vi è ancora una chiara formazione sul tema. Oltre al fatto che sia l’Italia (Paese dove l’influenza della Chiesa è molto forte) sia i Paesi dell’est Europa (Paesi che hanno subito le dittature di stampo comunista) sono culturalmente molto diversi rispetto agli altri Paesi del nostro continente, poiché il loro percorso storico ha fatto sì che ci fosse maggior omertà da parte delle stesse vittime nel denunciare la violenza.

Violenza che, qui, viene vista ancora come una “macchia” sulla vittima e che pone la stessa in una condizione di doppia fragilità: vittima perché abusata e vittima perché non creduta, ritenuta spesso provocatrice e responsabile essa stessa della violenza subita.

Le donne fanno difficoltà a uscire da situazioni di violenza proprio perché spesso non vengono ascoltate o credute, soprattutto quando si tratta di violenza di carattere psicologico.

Là dove non ci sono lividi e segni fisici evidenti è molto difficile che vengano riconosciuti gli atti di manipolazione perpetrati da predatori psicoaffettivi, perché vengono palesemente ignorati i “lividi” interiori, ugualmente dannosi.

Se poi apriamo la questione dello sfruttamento sul lavoro e dei ricatti, anche di carattere sessuale, non basterebbero intere pagine per raccontare le condizioni in cui si trovano le donne ancora oggi nel nostro Paese.

Basti pensare a tutte quelle categorie di lavoro in nero o controllato da una sorta di caporalato (vedi braccianti agricole, badanti, domestiche,…) dove le donne sono sottopagate rispetto agli uomini e dove sottostare all’abuso malvagio e ricattatore è consuetudine se si vuole conservare il posto di lavoro.

Ma le brutture, i ricatti, gli abusi e le violenze sono cose di tutti i giorni anche in ambienti socio-culturali più elevati, per questo motivo insisto sul fatto che sia necessario parlare di violenza di genere nelle principali istituzioni che si occupano di educazione e formazione e che sia necessario rieducare all’affettività e a un sano rapporto tra i sessi fin dalla tenera età.
Per insegnare a riconoscere e a controllare i propri sentimenti e le proprie emozioni, nel rispetto di quelli degli altri. Non è facile ma è una sfida che dobbiamo affrontare se vogliamo migliorare le cose.

Crede ci sia una differenza di percezione del tema tra Nord e Sud del paese?

Sinceramente non credo. Chi opera nel settore sa che al Nord quanto al Sud il problema è grave. Ma anche nel nostro Paese vi è la stessa differenza che c’è tra il Nord Europa e il Sud Europa.

Al Nord vi sono più denunce e più donne che cercano di uscire da situazioni di violenza, quindi un maggior numero di donne a rischio e la conseguente registrazione di un maggior numero di femminicidi che vede la Lombardia e l’Emilia Romagna in testa alla terribile classifica, mentre al Sud le donne tendono a subire e a nascondere di più i fenomeni di violenza e fanno più fatica a rivolgersi ai centri di ascolto, sempre per una questione di carattere culturale.

Le scritte ingiuriose apparse sulle locandine della presentazione del vostro libro, poco più di un mese fa a Noci (Bari), sono secondo lei un segnale isolato o un sintomo di insofferenza verso il tema da voi trattato nel libro?

Difficile rispondere a questa domanda. Sicuramente vi è un’insofferenza in generale a trattare l’argomento in questione e vi è una resistenza anche da parte delle stesse donne.

Ci sono pareri contrastanti su che cos’è la violenza e ciò crea una grande confusione e conflitti non indifferenti. Invece, bisognerebbe fare chiarezza: è violenza o molestia tutto ciò che è contro la volontà di una donna, a prescindere da come una donna si presenti per abbigliamento, simpatia, intelligenza, moralità e quant’altro.

Giustificare azioni di violenza o di abuso etichettando una donna con la frase “se l’è cercata” è la cosa più raccapricciante che si possa fare, poiché non esiste donna che desideri essere violentata, abusata, stuprata, picchiata, usata, manipolata, uccisa. Basta con queste fandonie!
Anche nel caso in cui una donna usi il proprio corpo e la propria femminilità per raggiungere uno scopo (che sia per lavoro, per successo o per amore) deve esserci sempre rispetto fra le parti.

Il rapporto fra i due sessi deve essere sempre reciprocamente consenziente e consapevole. Non esiste condizione morale, leggerezza o errore che meriti di essere punito con la violenza. L’uomo non può, e non deve, utilizzare la propria forza e il proprio potere per sfogare le sue perversioni.

Naturalmente non bisogna dimenticare che anche l’uomo è vittima di un modus vivendi e modus operandi errati che trovano radici sia nella cultura patriarcale del passato sia in quella moderna del presente che propone i nuovi valori (o meglio disvalori) della working class.
A tal fine è necessario che si istituiscano centri di ascolto e antiviolenza non solo rivolti alle donne ma anche agli uomini.
Per concludere, io credo che anche l’arte debba impegnarsi in questa direzione in quanto anch’essa ha un forte potere educativo e può aiutare l’uomo e la donna a uscire dalle gabbie di genere in cui entrambi sono intrappolati e di cui entrambi sono vittime, per instaurare tra i sessi una corretta relazione interpersonale e per far acquisire una nuova consapevolezza del sé.
Io l’ho fatto con la narrazione, linguaggio a me più congeniale, perché penso che l’arte possa sensibilizzare gli animi in maniera diretta ed empatica su un tema così scottante.

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