Ospedale di Matera. Lo strano caso del signor Antonio: “Perché è morto?” foto

Ricoverato nel reparto di geriatria muore “per shock cardiogeno”, dicono i medici. “E’ morto di setticemia”, dice la figlia. Il calvario della signora Stella alla ricerca della verità

Lei è Stella, insegna matematica. Donna intelligente, combattiva. Negli ultimi anni ha dedicato la sua vita agli anziani genitori. Anche dopo la loro morte, perché “sia fatta giustizia”. Di quale giustizia parla la signora Stella? Avrebbe voluto una giustizia da questo Stato, la giustizia umana. Forse, però, sarà costretta a sperare in quella divina. Ma ci sono cose che non puoi affidare alla speranza, cose che solo tu, con la tua determinazione, con il tuo amore per la verità, puoi scoprire. Dentro di sé Stella sa che ha ragione, ma le sentenze della giustizia umana bisogna rispettarle, anche se con rammarico, anche se ti lasciano appesa a un dolore che ti accompagnerà per tutta la vita. Qui raccontiamo la storia del suo papà, morto nell’ospedale Madonna delle Grazie di Matera. Stella ne potrebbe raccontare altre, e lo farà, come quella di sua madre e di tante altre persone che ha conosciuto lì e non solo lì. Stella potrebbe raccontarci la triste quotidianità di un malato anziano dentro un ospedale. Quelle piccole umiliazioni, quelle disattenzioni, quel senso di abbandono che fa soffrire in silenzio anime e corpi. Non tutti gli ospedali sono riconducibili all’esperienza di Stella, non tutti i reparti, non tutti i medici né tutti gli infermieri. Capita, però, e capita proprio a te, di trovarti in quel periodo, in quel reparto di quell’ospedale, dove qualcosa non funziona e dove molto non quadra. Che cosa è successo al padre di Stella?

La morte del papà

L’11 gennaio 2013 alle ore 6,00 nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Matera muore Antonio. Perché? Il referto ufficiale non ha dubbi: shock  cardiogeno.

Si poteva evitare.  E’ questa la convinzione di Stella. Riavvolge il nastro della memoria di quei lunghi giorni di degenza del papà nel reparto di Geriatria, prima del trasferimento in Rianimazione. Lo rivede, ritorna sui dettagli, sulle parole dei medici, su quei segni intorno al collo dell’uomo, quel rigonfiamento delle braccia, mette a fuoco momenti e situazioni. Quelle discussioni coi medici, con gli infermieri. Riascolta quelle risposte vaghe alle sue domande precise. Quella sua convinzione diventa certezza: “Papà non è stato assistito adeguatamente”. Sarebbe questa la verità? Forse. Anche perché Stella vedeva il padre ogni giorno peggiorare, e le cure non le sembravano adeguate. Ogni giorno una discussione con i medici e con gli infermieri. Per un farmaco non somministrato, per un farmaco sbagliato, insomma, per quella che ritiene una inadeguata assistenza sanitaria.  Sarebbe questa la verità? No. Stella scoprirà qualcosa di sconvolgente.

La donna viene informata con una telefonata: “Suo padre è deceduto stamane alle 6”. Antonio sarebbe morto per una grave insufficienza miocardica dovuta all’esaurimento delle fibre miocardiche. In altre parole, sarebbe morto di vecchiaia.

Nessun cenno, in quella telefonata, alle quattro setticemie refertate in cartella clinica, e scoperte solo dopo mesi. Il papà sarebbe morto di setticemia. Sarebbe questa la verità.

Stella vuole capire, ma forse ha già capito. Perché? Perché ha riconosciuto in sua madre ricoverata con suo padre nello stesso periodo, nella stessa stanza, nello stesso reparto, gli stessi sintomi del padre. Le fa fare un’emocoltura, da esterna, e scopre che ha contratto una setticemia Ematogena. Il batterio, scoprirà successivamente, era uno dei quattro contratti da suo padre. La porta in ospedale dove rimane per 37 giorni, nel reparto di medicina, è salva, almeno stavolta. Nessuno dei due genitori era immunodepresso o aveva ferite aperte.

 La denuncia

La mattina stessa della morte di Antonio, l’11 gennaio 2013, Stella presenta al posto di polizia dell’ospedale una denuncia querela. Chiede che “sia fatta piena luce sulle tante anomalie riscontrate nell’assistenza sanitaria durante il periodo di degenza del papà”. Vuole il sequestro immediato di tutte le cartelle cliniche relative ai diversi ricoveri e si riserva di chiedere un esame autoptico.

Tre mesi per sequestrare una cartella clinica

Chiede insistentemente la documentazione clinica in procura, senza ottenerla. Perché? Scoprirà attraverso il suo avvocato che il sequestro della cartella a distanza di tre mesi non è ancora avvenuto. Il provvedimento di sequestro sarà emanato solo dopo tre mesi dal deposito della denuncia. Cosa è accaduto nel frattempo? È stata riveduta e corretta? Cosa si voleva nascondere? Per caso le quattro setticemie? La cartella riguarda il ricovero nel periodo 27 dicembre 2012 e fino a decesso avvenuto. Il sequestro delle cartelle cliniche relative a ricoveri precedenti, indispensabili per l’esatta ricostruzione di tutta la vicenda non è avvenuto, anche se richiesto.

Le anomalie e le scoperte

Finalmente l’avvocato di Stella riesce ad avere la documentazione clinica, siamo a giugno. In quelle carte, la storia di terapie discordanti, di evidenze patologiche non diagnosticate, di certificati mancanti, di presidi sanitari non forniti, di aggiunte e correzioni a penna non spiegabili, di esami non effettuati o non riportati in cartella, di discordanze tra diario medico e referti. Insomma, ce n’è abbastanza per alimentare forti dubbi su quanto successo a papà Antonio. Studiando quella documentazione, con il supporto di esperti medici, e chiedendo consulti dappertutto, Stella scopre che il padre ha contratto durante il ricovero 4 setticemie gravissime, tutte di natura ospedaliera, diagnosticate con grave ritardo e non trattate adeguatamente, come le linee guida internazionali dettano. A quel punto, il dubbio di Stella viene sciolto: “Papà è morto di plurisetticemie, gravi infezioni batteriche.” Infezione tenuta nascosta o semplicemente non diagnosticata? La speranza di Stella è che sia la magistratura ad accertarlo.

Il consulente tecnico della Procura: “L’assistenza sanitaria è stata adeguata al caso clinico”

Il 23 aprile 2013 il Pubblico Ministero nomina un consulente tecnico al fine di “accertare le cause del decesso di Antonio e se siano configurabili profili di colpa a carico dei sanitari che lo hanno avuto in cura durante la degenza ospedaliera in particolare in relazione alle linee guida”

Il 17 giugno 2013 il Ctu, eccellente anatomopatologo, consegna la sua perizia alla pm. Il Ctu non si pone nemmeno la questione autopsia che, se effettuata in tempo, avrebbe potuto evidenziare la fioritura (si dice così) delle setticemie in tutti i distretti. Infatti lo staphilococcus epidermidis aveva invaso tutti gli organi, trasportato per via ematogena. Altri batteri avevano invaso il distretto urinario e i polmoni. La signora Stella era stata tenuta all’oscuro di tutto, correndo ella stessa il rischio di essere infettata durante le visite a suo padre. Nessuna bonifica sarebbe stata fatta nei reparti, il papà – dice Stella – non era stato isolato, come previsto dalle linee guida. Anzi la cosa sarebbe stata tenuta nascosta. Infatti il responsabile del Cio (Comitato infezioni ospedaliere), su richiesta della signora Stella, afferma che nel gennaio 2013 non si sono registrate setticemie da denunciare alle autorità competenti, eppure per il batterio acinetobacter baumannii, CPE, c’è l’obbligo di denuncia, attraverso il Cio prima e il Dipartimento di igiene e sanità  pubblica poi, all’Istituto  Superiore di Sanità, per mezzo dell’assessorato alla Sanità regionale.

La relazione del Ctu ( non menziona, nemmeno come dato storico clinico, né i referti batteriologici né i referti ematochimici e strumentali, né la terapia antibatterica mirata prescritta solo poche ore prima del decesso, e non preceduta da quella empirica, come da linee guida, nonostante il papà fosse ricoverato in rianimazione da ormai una settimana) sembra essere sviluppata esclusivamente sulla situazione cardiologica, ovviamente compromessa proprio per le setticemie, non menzionate. La conclusione del consulente è chiarissima: Antonio è deceduto per una grave insufficienza miocardica (…). L’assistenza sanitaria è stata adeguata al caso clinico sia presso il reparto di Geriatria che di Rianimazione dell’Ospedale di Matera. Le critiche rappresentate dai familiari non trovano riscontro nelle cartelle cliniche dei reparti interessati.”

Il consulente di parte: “L’assistenza sanitaria non è stata adeguata al caso clinico”

Stella, dal canto suo, chiede ad un suo consulente di fiducia, specialista in Medicina legale, di redigere una perizia per accertare le cause del decesso del suo papà. Le conclusioni del consulente di parte, suffragate da ampia documentazione batteriologica, con annessi e connessi, sono diametralmente opposte a quelle del perito della Procura. “Dalla visione della documentazione sanitaria esaminata, emerge che la causa del decesso sia dovuta oltre che al progressivo esaurimento delle fibre miocardiche…, soprattutto allo stato settico, che se fosse stato diagnosticato rapidamente con l’esecuzione delle emocolture richieste ma non eseguite e quindi con successiva prescrizione di idonea terapia antibiotica, avrebbe certamente potuto determinare un miglioramento del quadro clinico. A ciò si aggiunge la sospensione della terapia diuretica, come si evince dalla cartella clinica, apparentemente immotivata, che certamente ha contribuito all’aggravamento della patologia cardiovascolare, ravvisandosi, pertanto, per tali motivi, un rapporto causale tra il decesso del signor Antonio e l’operato dei sanitari in particolare del reparto di geriatria, la cui assistenza sanitaria, per come documentato in cartella clinica, non appare certamente adeguata al caso clinico. Non si riconosce responsabilità nell’operato dei sanitari del reparto di rianimazione essendo ormai gravemente compromesse le condizioni di salute del paziente una volta giunto in tale reparto.”

L’archiviazione

Il 31 agosto 2013 il Pubblico Ministero chiede al Gip l’archiviazione del caso. Stella si oppone. L’11 luglio 2014 chiede di essere sentita e di sentire il Ctu circa le opposte conclusioni, rispetto a quelle del consulente di parte. Chiede di procedere a nuova perizia collegiale affidando l’incarico ad un infettivologo e ad un cardiologo. Il Gip convoca la camera di consiglio, “durata pochi minuti”- racconta la donna – e che si riduce ad un appello che registra la presenza della signora Stella e del suo avvocato e si riserva di decidere. Il giorno stesso decide per l’archiviazione del procedimento sposando in pieno la tesi del Ctu.

Sulla vicenda viene così messa una pietra tombale, un’altra

“Pare che funzioni così, visto che la cosa si sarebbe ripetuta in un’altra occasione.” Eppure, si rammarica Stella, sarebbe bastato attenersi alle linee guida per la diagnosi e la terapia prima empirica ( suggerita da studi epidemiologici locali, relativi anche alle resistenze sviluppate, specie se si usano sempre e solo gli stessi antibiotici) e poi, con una de-escalation, mirata, in base all’antibiogramma che accompagna il referto batteriologico.

“Se fossero state adottate tutte le misure igienico-sanitarie, racconta Stella, i rischi connessi alle degenza sarebbero stati prossimi a zero e se la struttura ospedaliera si fosse dotata di moderne postazioni diagnostiche (che in due ore refertano contemporaneamente 25, fra i più comuni batteri, funghi e virus, anche in costanza di antibioticoterapia, escludendo automaticamente le contaminazioni), nessun paziente infettato sarebbe deceduto”.

La battaglia di Stella ? Non è ancora finita. Anzi, comincia adesso.