I petrolieri si arricchiscono e i nostri paesi muoiono. Intervista a tutto campo con Ulderico Pesce

L'attore e regista ci spiega com'è nato l'appello agli artisti lucani a mobilitarsi contro il petrolio

“Porterei Alvaro Soler all’ingresso del Crob per fargli capire chi ha pagato il suo concerto a Viggiano”. Soler, per chi non lo sapesse, è un cantante che a Viggiano, in provincia di Potenza, ha portato 80 mila presenze, ai primi di settembre, per un concerto al termine dei festeggiamenti in onore della Madonna Nera.

Colui che vorrebbe portarlo dinanzi all’ospedale oncologico di Rionero, il Crob appunto, è invece l’attore, autore e regista Ulderico Pesce. Se non conoscessi l’arte di Ulderico liquiderei come retorica e populista la sua affermazione sul cantante Soler. Nel corso dell’intervista che mi ha concesso non delude la mia voglia di fargli dire qualcosa di meno “pop”.

Lo contatto dopo aver ricevuto la sua lettera aperta a Franco Arminio, il paesologo che si è inventato, con successo, il Festival “La Luna e i Calanchi” in quel di Aliano. Pesce ha avuto da ridire sullo sponsor Eni-Fondazione Mattei  alla manifestazione che da anni ormai richiama, nel paese in cui i fascisti confinarono Carlo Levi, migliaia di persone. Dal soggiorno obbligato nel paesino lucano nacque quel capolavoro che è “Cristo si è fermato a Eboli”.

Carlo Levi – scrive Ulderico Pesce nella sua lettera aperta a Franco Arminio- se fosse esiliato oggi ad Aliano racconterebbe la bellezza dei calanchi lucani ma anche il petrolio che viene estratto da sotto i calanchi spargendo morte, spopolamento e povertà.

Ulderico, partiamo dall’inizio e cioè dalla lettera aperta a Franco Arminio. Ti ha risposto?
Mi ha telefonato più volte dando spiegazioni, ma non ha risposto pubblicamente. Nelle nostre telefonate Arminio mi ha detto che è contro il petrolio e che lo ha detto pubblicamente. Magari lo avrà fatto davanti a 30-40 persone, in un convegno. Ma non ha preso una posizione ufficiale. Evidentemente ritiene di non intervenire pubblicamente.

Eppure tu hai partecipato più volte al festival organizzato da Arminio. Perché solo oggi senti il bisogno di questo appello pubblico?

Ogni anno io, con un mio spettacolo, ho aperto il festival di Aliano. Da quando è nato. Sempre a rimborso spesa, 400 -500 euro lorde. Giusto per chiarirci. E l’ho fatto ben volentieri mettendo a disposizione il mio lavoro che in altre parti viene pagato come si deve. Ma ho creduto in questo festival e questo mi bastava. Ho creduto in un luogo della “vergogna” (Aliano) dove arrivavano gli esiliati politici, dove c’era il paganesimo, dove si facevano riti magici, finalmente trasformato in luogo della bellezza. Ho creduto nel riscatto della “vergogna”. Lo scorso anno, al termine del mio spettacolo ad Aliano, fui attaccato da un ragazzo veneto il quale mi chiese cosa ci facessi in un’iniziativa sponsorizzata da Eni e Fondazione Mattei. Ignoravo la presenza del logo Eni, io li detesto questi dell’Eni. Mi mostrò l’opuscolo con il logo della compagnia petrolifera accanto al nome di Franco Arminio. E così chiesi a Franco di parlarne. La questione non era rinviabile. Rimandò la discussione al giorno dopo, in un pubblico dibattito, assicurandomi che nessuno aveva intenzione di censurare la questione sollevata dallo spettatore veneto che fu invitato ad andare a parlarne. Il giorno dopo il ragazzo mi riferì che in quel dibattito era stato bloccato appena cominciò a parlare di petrolio. Ad ogni modo qua la questione non è se Franco mi abbia o meno risposto.

E allora qual è la questione?

Va aperta una vertenza petrolio

 Che cosa intendi?

 Premetto che non ho velleità elettorali. Mi occupo di cose culturali, e quindi solo libero, come liberi dovrebbero essere gli artisti e allora tocca a noi costruire una vertenza petrolio. Eni avrebbe dovuto garantire sicurezza. Lo ha fatto? No, Perché? Perchè nessuno ha controllato. Gli operai assunti al Centro Olio di Viggiano quanti sono? L’H2S che si libera nell’aria a che percentuale è? E’ aumentata la mortalità per tumori e patologie cardiovascolari, questo sì, lo sappiamo. Ecco in Basilicata è il momento di costruire una vertenza petrolio. Bisogna chiedere conto a Eni di quello che ha fatto fino ad oggi e di quello che intende fare. Non si può giocare più.

Significa che fino ad oggi i movimenti No petrolio, gli ambientalisti hanno giocato, non hanno fatto abbastanza?

 Conosco parecchie di queste persone che si occupano di ambiente in Basilicata, e tra loro ci sono persone molto serie e perbene ma ci sono anche persone che usano le problematiche ambientali per i proprio fini, elettorali e altro. Io dico che bisogna costruire una vertenza petrolio fatta da persone che non hanno alcuna intenzione di candidarsi e che riescano a  scrivere un documento che deve essere accettato da tutti, contro firmato da tutte le forze politiche che fra qualche mese scenderanno in campo per gestire il Governo regionale. Chi firma quel contratto che imbriglia le multinazionali in difesa dell’ambiente e della salute pubblica per bloccare qualsiasi pozzo petrolifero nuovo? Una vertenza capace di obbligare Eni a fare quello che non ha fatto sino ad oggi. Non sottoscrivi questo documento? Io non ti voto perché non mi sento tutelato. Questo documento dovrebbero costituirlo i singoli partiti ma visto che non lo fanno dobbiamo essere noi a muoverci.

Quando dici noi, intendi voi artisti?

Abbiamo dei problemi seri in Basilicata. Ripeto non è più il momento di giocare. Vogliamo che il ciclo dei rifiuti petroliferi sia monitorato da un ente terzo. L’Arpab non basta, perché è stata contaminata dalla politica. Bisogna costruire movimenti che in rappresentanza dei cittadini inchiodino Eni a controlli capillari e puntuali. Quando dico vertenza petrolio dico stop agli assassinii che si perpetuano nella nostra terra da 30 anni legittimati dalla legge dello Stato. Franco Arminio, Rocco Papaleo, Ulderico Pesce e tutti quelli che si occupano di cultura in Basilicata, tutti assieme dobbiamo costruire una vertenza. Dopo di che dobbiamo dire ai vari Polese, Carmen Lasorella, Antonio Mattia, chiunque abbia intenzione di candidarsi, ce la farai a mettere per iscritto nel tuo programma che Eni deve bruciare secondo le regole? Ce la farai a mettere per iscritto che deve rispettare le regole, e quindi salute e ambiente? Lo metti per iscritto? Bene. Ma se non lo fai circondiamo Viggiano. Ce la fai a farti dire che tipo di prodotto chimico sta utilizzando Eni per perforare? Ce la fai a trattare con Eni alla pari? Siamo tutti con te. Non ce la fai, ti defenestriamo dopo un mese.

Chiami “alle Armi” il mondo della cultura. Michele Finizio nella lettera aperta a te indirizzata  ha scritto :“Questa regione, mio caro, è miserabile perché ha ridotto la cultura a una “mensa dei poveri” gestita da un potere arrogante e ignorante. La mensa dove gli artisti sono costretti a chiedere la carità per esprimere e promuovere la loro arte.”  Secondo te in Basilicata si può fare cultura senza contributi pubblici, o meglio senza soldi provenienti dalle royalties?

Io credo di sì. Se ci fosse una legge, come quella che regola lo spettacolo dal vivo, i soldi sarebbero dati con un criterio stabilito dalla legge stessa e non ci sarebbe la corsa all’osso da spolpare. Ma soprattutto gli artisti sarebbero liberi. C’è un mondo della cultura in Basilicata che non si occupa di problematiche del vivere di oggi. E questo è un dato di fatto. La mia esperienza è un teatro strutturato sulla ricerca della realtà. Uno dei miei primi spettacoli è su un rivoluzionario del Sud (Giovanni Passannante) restituito alla sua dignità. In Storie di scorie parlo di una condotta di scarico in mare che porta rifiuti radioattivi nel mare di Policoro e Rotondella. Sappiamo cosa è successo pochi mesi fa con il sequestro di alcune vasche dell’Itrec. Sono 25 anni che faccio denuncia attraverso la mia arte. Non comincio oggi.

Un artista quindi dovrebbe essere sensibile ai temi sociali?
Un artista è libero di costruire il suo percorso, Ognuno interpreta come vuole realtà. Mi chiedo tuttavia come si fa a non essere toccati da quello che succede? Io sono figlio di un sindacalista della Cgil, ho aderito in giovanissima età al Pc, senza prendermi la tessera, ho fatto vita attiva all’interno del mondo anarchico, prima in Basilicata e poi a Roma. Diciamo che il destino di ognuno di noi è segnato. A me è più consono andare al centro olio di Viggiano che al Teatro Stabile di Potenza. Ci sono altri che questa propensione non ce l’hanno. E non per questo sono dei venduti. E credo che Franco Arminio non sia un venduto.

Qualcuno potrebbe obiettare “tu dove sei stato negli ultimi anni”, quando in Basilicata la questione petrolio è scoppiata in tutta la sua virulenza.

Sono stato in giro a portare in scena lo spettacolo “Petrolio”. Poi a me la vita è cambiata un po’ dopo aver frequentato alcuni scienziati che si occupani di petrolio in Italia e il Crob di Rionero. Perchè ho vitso con i miei occhi, e quindi a un certo punto ho raccontato il petrolio.

Ma non sarebbe stato più semplice fare teatro su altri temi?

Sarebbe sicuramente più facile, ma sarei infelice io. Ho trovato un bell’equilibrio tra ciò che scopro e la vita.

Stai portando in scena, non in Basilicata, uno spettacolo sul petrolio. Come lo racconti questo uomo nero che tiene in scacco la Basilicata?

E’ uno spettacolo è particolare, molto intimo. Racconto gli atti delinquenziali che il nostro popolo sta subendo da trent’anni. Giovanni-il protagonista- è un operaio disoccupato che vive a Viggiano, ha una figlia che fa l’università in Basilicata e che sta per laurearsi. Ed è l’addetto alla sicurezza del serbatoio numero quattro, quello della perdita delle 400 tonnellate. Ha visto la perdita di greggio da quel serbatoio. E ha appena scoperto che la figlia ha un tumore del sangue. Dice all’ingegnere Griffa quello che ha visto, prova a dirlo ai colleghi. Se parla però viene sbattuto fuori, se parla chiude il Centro Olio, e se chiude il Centro Olio chiude l’università di Potenza e  la figlia non può più laurearsi. Se parla chiude il Centro Olio e chiude il Crob che si regge con le royalties e la figlia non può più curarsi in Basilicata ed è costretta ad andare a Milano. Giovanni è incastrato. Siamo noi Giovanni, non siamo più liberi noi lucani. Se chiude il petrolio chiudono gli ospedali, l’università. Il problema è maledettamente serio. Ecco perché molte delle congregazioni ambientaliste che dicono “no al petrolio” sono elitè culturali  che non hanno compreso dove siamo e cosa facciamo. Il petrolio va regimentato. Vanno create regole e vanno fatte rispettare, va bloccato qualsiasi altro pozzo.

In Petrolio quindi affronti i fatti di cronaca dell’ultimo anno: la contaminazione, il suicidio Griffa. Ti hanno ispirato queste vicende?

Lo spettacolo è nato nato prima poi l’ho piegato ai fatti di cronaca emersi nel 2017: lo sversamento di greggio dal Cova di Viggiano, l’indagine sul suicidio dell’ingegnere Gianluca Griffa. Ma lo sto portando in giro già da sei anni. Non me lo hanno fatto fare in Basilicata fino ad oggi. Finalmente a novembre andrò in scena allo Stabile di Potenza e a seguire a Scanzano Jonico.

Ma non è che vuoi farti pubblicità lanciando questa idea della vertenza petrolio?

Non ne ho bisogno. Il mio spettacolo ha debuttato al teatro Argentina di Roma, uno dei due teatri più importanti d’Italia e, ripeto, lo sto portando in scena da sei anni. Voglio solo far capire alla gente che dovremmo cominciare a trattare con l’Eni come i braccianti agricoli degli anni 40 e 50. Con pari dignità.

Proverai a convincere Arminio che c’è bisogno di una presa di posizione pubblica contro il petrolio?

Franco Arminio non è un intellettuale esente da tali problemi. Franco è poeta, un paesologo che si occupa di cose sociali come me. Non ne vuoi parlare? Significa che non vuoi creare problemi all’Eni. Significa in qualche modo che la tua poesia non vale niente. Nulla. E che i tuoi libri, come gli ho detto anche telefonicamente, sono da prendere e buttare nel cesso. Perché dentro quelle parole scritte c’è il vuoto. Se tanti lucani stanno morendo come birilli, uno dietro l’altro, e l’Eni non rispetta le quote di H2S bruciate nell’aria, se ha promesso di impiegare 20 mila persone e là dentro ci sono 7-800 lucani con contratti a termine, ma chi più di un poeta che ha strutturato la propria poetica sul popolo e sulle problematiche sociali può raccontare tutto ciò? Aliano era l’occasione giusta per farlo, soprattutto dopo che Eni stesso ha ammesso di aver inquinato.

E invece?

Mentre Eni si arricchisce i nostri paesi muoiono, i nostri genitori restano soli, i giovani vanno via e chi rimane si è accontentato della card idrocarburi. E chi non ha la patente si è tenuto solo il cancro. C’è un’emergenza e questa emergenza va affrontata da tutti.

Qualche artista ha risposto al tuo appello?

Tanti amici artisti, in forma privata, mi hanno detto di preparare questo documento, e di farlo firmare, prima delle elezioni, a tutti i partiti politici che riterranno di doverlo fare. Dopo di che andremo a raccontare nelle scuole quel che accade ed è accaduto. I ragazzi devono sapere.

Torniamo a Carlo Levi. Che titolo daresti al suo libro, oggi?

Uguale: Cristo si è fermato e Eboli. Io cambierei il paese con Atena Lucana. La Valle di Diano ha detto no al petrolio. Quindi Cristo si è fermato lì.

E’ più difficile andarsene dalla Basilicata o rimanere.

E’ difficile rispondere perchè tocca i sentimenti delle persone. Per me è stato molto più difficile andarmene, tant’è che non ci sono riuscito. Sono rimasto legato ai miei luoghi, alla mia famiglia, alle nostre storie. Ho tentato però di costruire il mio lavoro sulla mia terra, l’ho portato fuori e ci sono riuscito. Quindi per me la mia terra è diventato il luogo delle mie storie. Non ho mai raccontato una storia che non avesse la Basilicata al suo interno. Della Basilicata ho fatto una cassaforte che ho aperto per tirare fuori delle storie che nel teatro italiano si sono imposte all’attenzione della critica. Non me ne sono andato dalla Basilicata e non voglio andarmene. Ho tre pecore, 200 piante di ulivo, mi piace girare per i paesi. Però sono stato fortunato perché ho avuto di che vivere. Invece tanti compagni miei se ne sono dovuti andare perchè non avevano il lavoro. Quindi credo che la loro scelta sia stata molto dolorosa, una scelta che ti pesa per tutta la vita. Credo che se tutti i lucani che se ne sono dovuti andare hanno attivato interiormente un dolore atroce. Quel dolore può essere la nostra ricchezza. Mi auguro di cuore che nasca questa nuova energia.

Può davvero cambiare qualcosa in Basilicata? 

Quando a Viggiano l’anno prossimo chiameranno l’Alvaro Soler del momento e ci saranno tre persone ad ascoltarlo e 80 mila persone a circondare il centro Olio di Viggiano avremo costruito una Basilicata diversa. Sana. Invendibile. Autonoma. Fino a quando invece ci rallegreremo perché Alvaro Soler ha chiesto di assaggiare il caciocavallo lucano… io vorrei farglielo assaggiare il cacio cavallo e lo vorrei far parlare con gli agricoltori a cui ogni giorno muiono le pecore, o che hanno dovuto assistere a parti di animali con due teste, galline morte e sorgenti chiuse. E vorrei portare Alvaro Soler davanti al Crob di Rionero, là davanti per una mezza giornata e fargli capire il problema che abbiamo qual è e con quali soldi è stato pagato. Hanno costruito una tarantella infinita, passano gli anni e tutti scappano. E chi rimane muore. Basta!