Elezioni europee. Il 26 maggio è un referendum che agita la Storia

Tra l’Europa che cambia e si compie e l’Europa che cambia e si distrugge

Le forze in campo in questa battaglia elettorale europea sono in pratica tre.

I sovranisti e i nazionalisti. Quelli che vorrebbero continuare il disastro avviato a partire dalla fine degli anni 70 quando il neoliberismo nutrì le politiche di Reagan in Usa e della Thatcher in Gran Bretagna. Sono le forze conservatrici che hanno puntato tutto sull’Europa monetaria, sulla deregolamentazione finanziaria, sullo smantellamento dei diritti sociali e del lavoro. Una politica che da un lato ha impoverito il ceto medio e ulteriormente immiserito i poveri e dall’altro lato ha consentito all’élite della finanza globalizzata di arricchirsi a dismisura sulla pelle dell’economia reale e delle piccole e medie imprese. Queste forze non hanno mai voluto né vogliono un’Europa che sia davvero unita. Vogliono un’Europa sospesa, sempre nella parentesi tra paura e insicurezza, tra sfiducia ed egoismo. Con lo scopo di aggredire l’ultimo pilastro ancora resistente nelle basi popolari degli Stati: la democrazia.

A indebolire i diritti sociali e le libertà individuali ci hanno già pensato in questi decenni post thatcheriani i burocrati neoliberisti al servizio dell’elite finanziaria e i governi finti europeisti.  Adesso dunque l’obiettivo è ridimensionare le basi sociali e le regole della democrazia. Non a caso qualcuno predica, e qualcun altro prova ad applicare, la democrazia illiberale, un ossimoro indigeribile. Esistono e sono chiaramente evidenti forze politiche sostenute da ampi strati popolari che in questi anni hanno introdotto nel discorso pubblico temi quali l’invasione islamica, la legittima difesa, la tutela dei confini, il patriottismo, l’onore, la famiglia, l’interesse nazionale, l’omofobia, i valori della tradizione e delle radici. Tutto condito da un ritorno al simbolismo religioso, al fondamentalismo cristiano, alla simbologia e all’estetica fascista.

Si fa leva sulla percezione pubblica dell’insicurezza perenne e dell’incertezza sul futuro. Si distrugge il ricorso al ragionamento e al pensiero per fare spazio alla semplificazione e all’istinto, nel quadro di micro conflitti permanenti reali o immaginari con nemici artefatti. L’obiettivo è limitare le libertà grazie a una psicosi sociale che determina continui bisogni di sicurezza. La tensione è il sale di questa dinamica. Una società in continua tensione, spaventata da immaginarie tragedie, che trova rifugio nel passato, nel rimpianto, nella nostalgia. Queste forze non vogliono che viva la speranza di un’Europa unita. Fanno il gioco dell’oligarchia finanziaria.

Gli europeisti di varia estrazione. Provano a dimostrare la necessità di un’Europa politica, sociale, che si fa nazione. Un’Europa unita diversa da quella che conosciamo. Quell’Europa che non vogliono i russi né gli Usa, quell’Europa che non vogliono i sovranisti né i Paesi finti europeisti. Un’Europa dei popoli, anzi del popolo europeo. Che si fa Stato e democrazia avanzata, culla di civiltà e libertà, tutrice e promotrice dei diritti sociali e dei diritti umani. Un’Europa fatta dagli europei. Questa è l’unica strada che apre la speranza alla pace e alla prosperità dal Mediterraneo al Mar Baltico. Queste forze dovrebbero convergere sulla necessità di costruire novi pilastri istituzionali e politici della nuova Europa. La speranza è che questo avvenga in un futuro non molto lontano. La sinistra tradizionale, che per lunghi anni ha fatto da stampella al disastro neoliberista dovrebbe sottoporsi a una profonda autocritica. La sinistra alternativa e i movimenti emergenti dovrebbero evitare accelerazioni e strappi a cui la storia non è ancora preparata.

Gli equilibristi interessati. E poi ci sono quelle forze che mirano a salvaguardare lo status quo. Un’Europa né carne, né pesce. Un ibrido in equilibrio sull’asse della storia. A loro va bene così. La moneta, la finanza, i conflitti, le scaramucce e i dispetti tra gli Stati. A loro sta bene l’Europa germanizzata, quella del nord e del sud, quella dei confini e delle nazioni sovrane. Un’Europa incompiuta.

Su una cosa saremmo quasi tutti d’accordo: l’Europa va cambiata e compiuta. Il 26 maggio dovremo decidere se spostare l’asse della storia sul futuro o su un tragico passato.