La violenza privata al servizio dello Stato. L’ingiustizia legale del ministro dell’Interno

Caso Ivrea. Siamo di fronte al tentativo di nobilitazione della violenza privata individuale con la complicità e l’incoraggiamento di esponenti del Governo e del Parlamento

Sparare a un ladro o presunto tale, per difendersi da un reato o presunto tale, si configura come uso della violenza privata al servizio dello Stato o con la complicità di apparati statali. Una funzione surrogata che si sostituisce al potere statale, unico potere legittimato a usare la forza per far rispettare la legge.

Nella storia degli ultimi 150 anni, un solo altro potere ha usato la violenza privata (organizzata) per sostituirsi allo Stato e con l’autorizzazione più o meno esplicita delle istituzioni o di pezzi delle istituzioni. È questo potere si chiama Mafia. Le mafie hanno costruito alleanze, interconnessioni, relazioni, interdipendenze con apparati statali, delle forze dell’ordine, della magistratura, delle istituzioni parlamentari e governative, di classi dirigenti, nei Comuni e nelle Regioni. Al centro di queste relazione vi era e vi è l’uso simbolico, e alla bisogna l’uso di fatto, del potere della violenza, spesso al servizio di apparati dello Stato. E questo vale per tutte le mafie. Loro, con la forza, o con la semplice minaccia dell’uso della forza, hanno risolto e ancora risolvono diversi problemi a pezzi interi di apparati pubblici. Una forma di illegalismo che fa sistema con la legge, direbbe Foucault.

Nel caso del tabaccaio che a Pavone Canavese ha sparato al ladro colpendolo alle spalle non ci sarebbe nulla di legittimo. Si tratterebbe al contrario di eccesso colposo. Eppure un migliaio di cittadini hanno sfilato in corteo per esprimere solidarietà a chi ha sparato e ucciso. Finanche il ministro dell’Interno ha rivolto nette parole di solidarietà al tabaccaio: “A lui va la mia solidarietà umana e politica.

Passi la solidarietà umana, ma perché anche la solidarietà politica? La gravità delle dichiarazioni del ministro è tutta in quella parola: “politica”.

Siamo di fronte al tentativo di nobilitazione della violenza privata individuale con la complicità e l’incoraggiamento di esponenti del Governo e del Parlamento. La violenza privata, così, si libera della sua bestialità e diventa valore sociale e culturale e assume una finalità strategica pubblica, politica appunto, che trova motivazione nel malinteso senso della legittima difesa e della sicurezza. Malinteso senso creato ad arte.

Il tabaccaio di Pavone Canavese è probabilmente vittima di questo clima di ambigua complicità tra Stato e cittadino che, attraverso la narrazione leghista e non solo leghista, giustifica l’uso della violenza privata individuale in nome della legalità e della lotta alla delinquenza. Una forma di ingiustizia legale che può aprire spazi drammatici ad altri profili di violenza e di ingiustizie.

Sul caso di Ivrea bisogna fare immediatamente chiarezza. Se di eccesso colposo di difesa si tratta, allora il tabaccaio va condannato senza mezzi termini e senza contorni paternalistici di rito. Su questa roba non si scherza. Una cultura che giustifichi la violenza può generare tragedie e mostri.