L’età del ferro e del naftalene in Basilicata

Industria estrattiva, fiumi e falde in una terra in cui la cultura dell'ambiente resta superficiale

Nel 2015 il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella (Pd), denunciava via social l’allarmistica cronaca sul fiume Cavone di questa testata. Poi la Procura si è pronunciata sul disastro ambientale al Cova di Viggiano, in cui sono coinvolte aziende operanti pure sul Cavone. Oggi il presidente Bardi, e la Lega delle autonomie, evitano di parlare di federalismo del petrolio, tema trattato nel 2011 dalla Società Italiana di Economia, e di impatti ambientali. 

L’habitat di un fiume petrolizzato. I sedimenti hanno un ruolo chiave per la salute degli ecosistemi acquatici per le interazioni con acqua interstiziale e livelli idrici sovrastanti, e perché habitat di molti organismi e sostegno di tutta la fauna acquatica. Sono sito preferenziale d’accumulo per molte sostanze inquinanti, con effetti negativi su ambiente e salute umana. Arpab sul Cavone scrive che non esiste una normativa sui limiti di concentrazione dei parametri chimico-fisici sui sedimenti dei corpi idrici superficiali interni, ma riferimenti normativi per le acque interne, e usa la legge 152 del 2006. Esiste però una direttiva europea diventata legge in Italia. Scrive che le specie chimiche più abbondanti, ferro a 23.488 milligrammi chilo (mg/kg, ndr), alluminio a 13.195, e manganese a 637, non sono incluse tra i limiti, e l’elevato tenore di ferro potrebbe essere la causa della colorazione rossastra. Nonostante affermi che non sono state riscontrate particolari criticità vi sono elevati tenori di naftalene, 112 microgrammi chilo (µg/kg, ndr), a fronte d’un valore di riferimento annuo di 35 stando alla direttiva recepita, e si potrà esprimere un giudizio dopo monitoraggio di almeno un anno. Non è proprio limpida questa storia. Nel 2015 dopo una nostra inchiesta sul Cavone e altri campionamenti in proprio, Arpab avrebbe dovuto far partire tale monitoraggio. Bastava leggere Geochemistry of Oilfield Waters per capire che le acque di produzione presentano metalli tossici come ferro, manganese, alluminio, zinco, arsenico, bario, rame, piombo, stronzio. E forse ricordare che la procuratrice Franca Macchia chiarì anni fa che le acque di produzione erano reiniettate senza trattamento, per chiedersi almeno che cosa è successo negli anni.

Il naftalene secondo le multinazionali. A spiegarci il rapporto tra naftalene e industria petrolifera ci pensano le multinazionali del settore. Uno studio del 2016 afferma che l’inquinamento da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA, ndr) avviene a causa di perdite di petrolio da oleodotti, discariche di fanghi, perforazioni, e il naftalene è la sua forma più semplice. Distrugge i globuli rossi e causa diversi tipi di anemia, e su tali malattie (comprese le neurodegenerative prodotte dal manganese e altri metalli riscontrati ndr), dovrebbe aprirsi un serio studio in Basilicata. Soprattutto se si usano quelle acque in agricoltura. Ma restiamo a una cultura ambientale superficiale, col diritto a restare ignoranti. Per la multinazionale Veolia, che ignorante è a corrente alternata, basti pensare a Melfi e all’aver ignorato le ecomafie che portavano rifiuti all’inceneritore, le emissioni di idrocarburi nell’ambiente attraverso il rilascio di acque di produzione da campi di petrolio e gas ha attratto l’attenzione maggiore nel mondo da parte di governi e operatori di settore. Dichiara, per quello che chiamano Fattore di Impatto Ambientale, che “nell’industria petrolifera si può dire che gli IPA, specialmente gli NPD (naftalene, fenantrene, e dibenzotiofene), hanno il più elevato impatto, seguiti da composti aromatici come i BTEX (benzene, toulene, etilbenzene e xilene), dagli oli dispersi, dagli alchil-fenoli, e dai composti polari solubili”. La Shell, che opera in Basilicata con Eni, che invece di ignorare crea campagne per disinformare che vi abbiamo raccontato, quando studia l’impatto tossico delle acque di produzione, attesta che gli idrocarburi aromatici, principalmente il naftalene e i BTEX, hanno il più elevato impatto. In Basilicata invece, un Ente pubblico usa leggi a casaccio senza studiare storia del sito, fattori di impatto, e habitat fluviali?

Industria estrattiva e falde. La direttiva recepita con due leggi dice che per la colonna acqua per acque superficiali interne il limite annuale di standard qualità per il mercurio è 0,03 µg/l. Arpab riporta minore di 0,0001 milligrammi litro (mg/l, ndr), cioè 0,1 µg/l. Cambiando la misura si evitano problemi? Bisogna proteggere qualcuno? Vi sono altre sostanze che andrebbero lette con precauzione nonostante sotto limite. Tipo piombo, cobalto, vanadio, nemmeno normate, e riscontrate nell’inquinamento di pozzi chilometri a monte del prelievo sul Cavone dalla stessa Eni, e pure nelle analisi del Comune di Pisticci fatte dal 2015.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, ndr) i contaminanti delle falde per raffinerie petrolifere e Centri Olio come a Pisticci, sono zolfo, alcani, IPA, BTEX, naftalene, nichel, piombo. Oleodotti, vasche e serbatoi per stoccare petrolio e rifiuti, tanto quanto acque contaminate da solventi e fanghi acidi o caustici, in molti casi sono causa di contaminazione di falde con sostanze significative per la salute umana come arsenico, piombo, mercurio, solventi clorurati e soluzioni acide, e sostanze a bassa solubilità come IPA. Per l’OMS nelle falde dove impattano pozzi, arsenico, bario, boro, cadmio, piombo, manganese, mercurio, nichel, selenio e uranio sono riscontrati oltre le condizioni naturali. L’arsenico in condizioni naturali è 0,01 µg/l, Arpab ne riscontra 3 in acque superficiali del Cavone impattate da quel fango rosso con una patina iridescente spinto su da sottoterra (come sul Cavone a San Mauro e sul Basento, ndr). Il boro per l’OMS è 0,7, Arpab misura 388. Il bario 50 con valore guida 0,7, il piombo 1,3, per OMS è 0,003, il nichel 5 con valore guida 0,002, il manganese 180 con valore guida 0,4. Bisogna studiare cosa c’è di naturale o meno sotto il Cavone se come per altri fiumi lucani il CNR-Irpi ha pure spiegato uno scorrimento sotterraneo e l’interazione tra essi?

I valori dell’acqua sulle colline. Il Cavone presenta problemi più a monte delle ultime analisi Arpab. Tra i comuni di San Mauro Forte e Salandra, senza un’industria ma con a monte pozzi e discariche di fanghi petroliferi (usate anche illecitamente dai trasportatori di rifiuti petroliferi), i livelli di alcune sostanze fuoriuscite da sotto terra con l’acqua, come piombo, arsenico, boro, bario, ferro, manganese e fenoli, tanto per citarne alcune, erano elevatissimi. Trenta chilometri più a valle, dove Arpab ha campionato, bisogna tener conto o no dell’impatto più a monte del Centro Oli di Pisticci, d’una discarica adibita a reflui petroliferi in passato sequestrata per traffici illeciti e inquinamento di IPA e metalli pesanti, di pozzi gas e petrolio di due concessioni idrocarburi con inquinamento acclarato e bonifiche fatte dopo decenni? Con tutto ciò che questo può comportare in termini di inquinamento per il dilavamento dei terreni e per essere finite in falda (piombo compreso attestato da Eni ndr). Per approfondire il fenomeno dobbiamo leggere le ultime analisi sull’acqua commissionate dall’Associazione Cova Contro, che segue da anni la questione. Acqua che fuoriesce da sottoterra nel bosco di Ferrandina a circa 500 metri di altezza, dove Eni stessa descrive una falda a 15 metri sottoterra da Salandra a Ferrandina, comuni dove impatta la concessione Cugno Le Macine. Sono importanti perché possiamo considerarlo un punto medio del Cavone tra San Mauro e gli ultimi prelievi a Pisticci. Il bario è risultato 92 a fronte del valore OMS di 0,7 in condizioni naturali di falda. Il boro 271 a fronte dei 0,7 previsti. Il manganese 38 a fronte dei 0,4, il nichel 9 a fronte di 0,002, il piombo 3 a fronte di 0,003.

Storie brevi di metalli. Sulle colline nel bosco ferrandinese sgorgano da sottoterra per ogni litro d’acqua anche 1.569µg di alluminio, 1.789 di ferro, 116 di zinco, e 15 di rame. Dove Arpab ha prelevato sul Cavone, l’alluminio è 360, il ferro 1.136, lo zinco 2, il rame 5. Nell’area hanno usato fanghi al lignosolfonato di ferro (i lignosolfonati hanno funzione di solvente). Dichiarano poi che vi sono state perdite come per Elce 1, sul Basento da cui esce la stessa roba rossa e iridescente, e per via dell’abbassamento della pressione idrostatica (dovuta al peso della colonna d’acqua che impregna la roccia serbatoio) a 3.993 metri, d’aver utilizzato fanghi a base d’acqua con forti assorbimenti di fanghi nel foro del pozzo. Ben 326 metri cubi l’ora. Se il fondo pozzo è a 4.268 metri e in media si trivellano 2,5 metri l’ora quanti fanghi sono stati assorbiti sotto terra e che fine hanno fatto? Il ferro è anche un problema quando si acidificano pozzi perforati con fanghi a base d’acqua caustica (e ci sono nell’area strati di acqua salmastra per cui usare soda caustica per ridurre i livelli di calcio nell’acqua). O quando si è in presenza di un ambiente acido dove l’idrogeno solforato è disciolto in strati di acqua salmastra, petrolio, o gas. Gli ossidi di ferro sono usati quando si perfora come materiali di appesantimento per il controllo delle pressioni della formazione (e hanno usato fanghi più pesanti in zona), o assieme al solfato ferroso sono trovati nei tubi in superficie di pozzi di reiniezione, nei tubi a fondo pozzo, e nella formazione rocciosa. Nelle concessioni Cugno Le Macine e Serra Pizzuta si sono acidificati pozzi, si è reiniettato, e s’incontrano strati di acqua salmastra che nei pressi di un’area coltivata tra San Mauro Forte e Salandra, dove si coltiva grano che va sul mercato bio, sgorga a volte rossa e iridescente, proprio come quella del Cavone e del Basento, assieme a bollicine che vanno a fuoco. Basta un accendino.