Le mafie pugliesi: nel nuovo libro di Andrea Leccese origini ed evoluzione della “malapianta”

L'autore ci racconta come per tanto tempo ci sia stata una difficoltà culturale ad ammettere che anche in Puglia avesse attecchito la malapianta

Le mafie pugliesi, dalle origini a oggi. Ne abbiamo parlato con Andrea Leccese, saggista esperto di mafie, autore di Malapuglia (Castelvecchi, 2019). Ancora una volta, Leccese ha scelto un tema poco battuto, quello della malavita pugliese. E ci racconta come per tanto tempo ci sia stata una difficoltà culturale ad ammettere che anche in Puglia avesse attecchito la malapianta.

Ma quando nascono le mafie in Puglia?

Il fenomeno mafioso attecchisce in Puglia con molto ritardo rispetto alle altre regioni meridionali. E questo accade negli anni Ottanta, periodo in cui l’euforia per lo sviluppo economico, trainato dall’imperante religione del profitto, crea una nebbia fitta che impedisce a tanti di scorgere quello che stava accadendo sotto il naso. I criminali pugliesi si ribellarono allora alle mire espansionistiche della camorra cutoliana – che intendeva colonizzare la regione – e decisero perciò di organizzarsi con un processo di rapida imitazione delle mafie tradizionali.

Dunque per molto tempo è stata sottovalutata?

Come quel Don Ferrante che nei Promessi Sposi non credeva alla favola della peste, così per troppo tempo politici e uomini delle istituzioni hanno tenacemente negato l’esistenza della malapianta, finanche dopo le prime sentenze di condanna. Poi, all’improvviso, abbiamo dovuto tutti fare i conti con una potente “quarta mafia”, che si era affiancata silenziosamente a Cosa nostra siciliana, ‘ndrangheta calabrese e camorra napoletana. Una mafia dotata di una spiccata vocazione imprenditoriale, giovane ma pericolosa tanto quanto le organizzazioni criminali storiche. La sottovalutazione si traduce naturalmente in impunità per i boss. E l’impunità costituisce un elemento fondamentale del fenomeno mafioso. Il grande giurista palermitano Gaetano Mosca sosteneva già oltre un secolo fa che tra gli obiettivi e i punti di forza della mafia c’è proprio l’impunità: i mafiosi esercitano l’«arte difficile di delinquere impunemente».

Hai parlato di una spiccata vocazione imprenditoriale…

Certo, per il carattere dei pugliesi allora definiti “lombardi del Sud”, ma anche perché la malapuglia nasce con la benedizione della ’ndrangheta. In Calabria le organizzazioni malavitose avevano smesso già dagli anni Settanta di occuparsi di abigeato e avevano iniziato a investire negli appalti pubblici. Era la mafia imprenditrice di cui parla Pino Arlacchi.

Ma ti è dispiaciuto da pugliese parlare di malapuglia?

No, per un pugliese parlare della mafia in Puglia non vuol dire screditare la propria regione, ma volerle bene. Per risolverli, i problemi sociali, bisogna prima individuarli, esaminarli. «I mali sociali – scrisse Sciascia – sono proprio come le malattie individuali: nasconderli, negarli, minimizzarli vuole dire soprattutto non volerli curare, non volere liberarsene».

Quando riusciremo a liberarci delle mafie?

Non possedendo ancora la mia personale sfera di cristallo, non so risponderti. Anzi nel mio libretto elenco i vari ostacoli alla sconfitta del fenomeno mafioso, che non è solo un problema di ordine pubblico, ma soprattutto un male che riguarda la correttezza dei rapporti economici e la qualità della democrazia. Certo ho l’impressione, spero infondata, che la lotta alla mafia non sia mai stata una priorità assoluta dell’agenda politica. Forse neanche subito dopo i tragici attentati degli anni Novanta.