Il cattivo giornalismo e i gravi indizi di colpevolezza

Chiunque può essere un barbaro perché essere una persona civilizzata, di questi tempi, richiede uno sforzo terribile

“Chiunque può essere un barbaro, rimanere un uomo civilizzato richiede uno sforzo terribile”. Se non ricordo male è una frase di Leonard Woolf. E questo sforzo terribile non tutti riescono a farlo. Tuttavia, i giornalisti, o sedicenti tali, hanno l’obbligo morale e il dovere deontologico di fare lo sforzo e superarlo.

Assistiamo ormai spesso a barbarie giornalistiche che mettono in prima pagina il mostro ammanettato, o le vittime di violenze. C’è chi non svela particolari che possono ricondurre al riconoscimento della vittima, compresi i particolari che riguardano il presunto “carnefice”. E c’è chi, giustificato dai contenuti espliciti dei comunicati stampa degli inquirenti, svela ogni particolare, senza scrupoli, sia della presunta vittima, data per vittima certa, sia del presunto colpevole del reato, dato per colpevole a prescindere. I nomi o altri particolari – se non si tratta di personaggi pubblici – non si pubblicano, non solo per tutelare la presunta vittima ma anche per tutelare il presunto colpevole.

Qualche giorno fa, rispondendo a un commento di una lettrice, che aveva già condannato le persone coinvolte nella brutta vicenda venosina – 17 arresti, 50 indagati – raccomandavo prudenza e ricordavo che prima di un eventuale processo, nessuno deve essere considerato colpevole. La signora ha seraficamente risposto: “e che, i carabinieri li arrestano per gioco?”

Ecco, se i carabinieri ti arrestano sei colpevole. Le forze dell’ordine arrestano su mandato dei giudici e non di rado accade che i veri colpevoli vengano rilasciati, e gli innocenti finiscano in gattabuia per anni.

È compito della stampa e dei giornalisti veicolare una cultura civile, che esalti lo stato di diritto in ogni circostanza. Tuttavia, assistiamo a un comportamento che svolta in tutt’altra direzione. Nomi, indirizzi, facce, particolari che calpestano la dignità delle persone, una barbarie consumata spesso in danno delle donne vittime di violenza e quando ciò non sazia l’accanimento si sposta sui presunti colpevoli.

La frase è sempre la stessa: gravi indizi di colpevolezza. Voglio ricordare che anche nei confronti di Enzo Tortora c’erano gravi indizi di colpevolezza e persino le “prove schiaccianti”. E sappiamo com’è andata a finire. Anche nei confronti di esponenti politici della prima repubblica c’erano gravi indizi di colpevolezza, gente che dopo aver subito la gogna mediatica e la barbarie del “popolo onesto”, è stata assolta con formula piena. Ad ogni modo, i casi sono migliaia. Prudenza, occorre prudenza e senso civile, anzi occorre una cultura civile che sembra scomparsa da tempo. La mia riflessione è banale, la solita minestra riscaldata. Purtroppo la realtà ci dice che nessuno la mangia quella minestra.

Un giornalista, a proposito della violenza che una donna avrebbe subito da parte del proprio datore di lavoro, si è perfino scatenato sui social, sposando la tesi di colpevolezza degli inquirenti, prima ancora che ci sia un rinvio a giudizio e un processo. Non metto in discussione il lavoro degli inquirenti e delle forze dell’ordine, ma da giornalista ho l’obbligo di conservare il dubbio e di aspettare l’esito processuale della vicenda. E’ vero che la verità processuale non sempre coincide con la verità dei fatti, ma questa è un’altra storia. Da giornalista oggi posso dare la notizia: “arrestato un datore di lavoro che secondo gli inquirenti avrebbe violentato una sua dipendente.” Non posso scrivere sul mio giornale né sui social che “l’uomo ha violentato la sua dipendente”, e lasciarmi andare a commenti e a sentenze morali che spingono i lettori ad imbarbarirsi ulteriormente. Posso dare la notizia “arrestato il sindaco di Venosa per turbativa d’asta”, non posso scrivere che ha commesso il reato ma che avrebbe commesso il reato secondo la ricostruzione degli inquirenti. L’accusa non va mai confusa con la colpevolezza.

Eppure, assistiamo a una crescita tumorale dei casi di cattivo giornalismo, nel silenzio di chi dovrebbe tutelare sia l’opinione pubblica, sia i media che fanno lo “sforzo terribile per rimanere civili”.