Un capitalismo migliore è possibile? Il tema non interessa la politica

De Sarlo: Il liberismo è nemico dell’umanità e dell’ambiente e va politicamente e culturalmente isolato

Conosco Corrado Passera dal 1987 per cui non sono affatto sorpreso dalla sua ultima uscita pubblica sul Better Capitalism. Per fortuna non è il solo a porre la questione dei limiti della visione capitalistica liberale. Basti pensare a Fitoussì, Mazzuccato, Messina e altri in campo economico e manageriale, per non parlare di premi Nobel in economia come Arrow, Diamond, Sharpe, Maskin, Solow, Krugman, oltre a Stiglitz, che trattano, pur da angolature diverse, gli stessi temi.

Quello che francamente mi stupisce è che mentre il dibattito ferve nelle stanze migliori e culturalmente più evolute del potere economico – finanziario, nonostante il fatto che l’ONU sia intervenuta con direttive precise sugli investimenti socialmente responsabili (SRI), il tema non pare interessare né la politica né i vari anchor man e giornalisti strapagati che agitano i salotti televisivi con quotidiane minchiate e pettegole discussioni.

O tempora! O mores!   È facile quindi prevedere che il secchio di acqua di fonte, fresca e pura, gettato da Corrado nell’attuale deserto di uomini e di idee venga presto assorbito e dimenticato. Per questo motivo, e dopo che Michele Finizio ha gettato anche lui il suo secchio d’acqua, prendo anche il mio piccolo bicchiere per dare il mio contributo alla discussione, sperando che altri si aggiungano al dibattito per creare secchio dopo secchio, bicchiere dopo bicchiere e goccia dopo goccia almeno una fresca oasi.

L’Europa liberale e le sue panzer division

In questi giorni si è celebrato il trentennale della caduta del Muro.

Ho sufficienti capelli bianchi per ricordare quel momento. Oltre alle voci di giubilo nel ceto politico, forse l’ultimo ad aver fatto qualche buona lettura, emergevano forti perplessità sulla riunificazione della Germania. Thatcher, Mitterand, Andreotti erano preoccupati dal fatto che la Germania unita potesse nuovamente riprendere la sua politica di potenza. D’altronde il mito della Nazione Germanica permaneva dai tempi di Teutoburgo e permane nello stesso inno nazionale tedesco che inizia, a proposito di sovranismi, con le parole ‘Germania, Germania prima di tutto nel Mondo”. Senza considerare che il più lungo periodo di pace in Europa, la Pax Romana, ci fu quando il mondo romano occidentale e quello tribale dei popoli nordici, tedeschi e slavi, rimasero separati dal confine del Reno.

Kohl, uno degli ultimi veri leader europei, convinse il resto dell’Europa che non ci sarebbe stata la sua germanizzazione bensì la occidentalizzazione della Germania. Non solo, ma li convinse anche che, per far accadere ciò, occorreva cancellare definitivamente i debiti di guerra, allargare l’Europa ad Est, in modo da far aumentare la centralità della economia tedesca, derogare dai limiti di indebitamento pubblico per varare un colossale piano di investimenti per annullare il gap infrastrutturale tra Est e Ovest e cambiare con rapporto uno a uno il marco della Germania Ovest con quello della Germania Est. Non so se agli altri leader europei questo sembrò un prezzo equo per avere finalmente una Germania occidentale e non tribale, se credettero alle rassicurazioni di Kohl oppure se fecero di necessità virtù, vista la favorevole onda nelle pubbliche opinioni sulla riunificazione tedesca, ma questa produsse anche due soluzioni di continuità nella cultura con profondi cambiamenti degli anni a venire.

La prima fu che, per qualche strano motivo nella psicologia di massa, non solo il Muro non fu visto come una conseguenza della volontà di dominio della Germania sull’Europa, che nel corso della ultima guerra mondiale causò venti milioni di morti nella sola Unione Sovietica per non parlare dell’olocausto, ma addirittura il suo abbattimento venne considerato quasi come la fine di una ingiusta punizione imposta dai vincitori ai vinti. Collegata a questo primo effetto ci fu il secondo, ossia l’annichilimento delle ragioni del socialismo democratico che scomparvero dalla cultura generale arrendendosi senza colpo ferire alle ragioni della liberal democrazia e impedendo quel confronto dialettico tra visioni diverse della società che favorisce lo sviluppo economico e sociale di qualsiasi comunità. Insomma fu quasi come se la costruzione del Muro fosse un effetto del socialismo reale e non una conseguenza del nazifascismo che aveva spaventato il mondo democratico e che, certo anche su pressioni di Stalin e delle sue altrettanto funeste ansie di dominio sull’Europa, accettarono con sollievo il depotenziamento della Germania dividendola in due.