Può guarire la Basilicata malata di infantilismo?

E poi c’è anche la Basilicata degli intellettualoidi  e dei poetucoli,  degli sciamani del sapere e degli apprendisti stregoni

C’è una Basilicata della critica monotona. Quella critica inconcludente che serve soltanto a chi soffre l’anonimato, a chi non riesce a respirare senza una dose di esibizionismo, di vanità, di saccenteria.

C’è una Basilicata della rabbia. Quella rabbia che sfoga l’impotenza nel cambiare le cose, che spesso urla senza agire, che punta il dito contro gli altri e mai lo sguardo dentro la propria coscienza.  E poi c’è anche la Basilicata degli intellettualoidi  e dei poetucoli,  degli sciamani del sapere e degli apprendisti stregoni.

La Basilicata di chi fa, male, il mestiere degli altri e quella di chi non fa il proprio. Queste Basilicate, sono la parte, “malata”, di una società che si è persa in un nuovo infantilismo storico. Fatta di figure grottesche figlie di antichi e recenti paradossi nati nella crisi di identità socio-economica: petrolio contro agricoltura; chimica contro turismo; lavoro contro ambiente e salute; la mia famiglia contro l’interesse generale; vita mia contro vita tua; la mia carriera contro la tua. Non la mia idea che non ho, contro la tua che non hai, ma io contro di te, lui contro l’altro.

Un panorama dicotomico sfociato nella schizofrenia, creato come scenario di dibattito quotidiano destinato al nulla. È la Basilicata che ha bisogno di un padre che non ha, che trova compensazioni nelle braccia di patrigni di ogni specie: pulci che ruggiscono e leoni che ragliano, asini che cantano e pecore che scrivono. Sono i patrigni che hanno rimbecillito migliaia di persone mettendole l’una contro l’altra in una competizione carnascialesca, seppure pericolosa. Una competizione tutta giocata sui social network, tra insulti, insinuazioni, pettegolezzi, invettive, vendette contro qualcuno o per difendere qualcun altro. Di idee e ideali non discute più nessuno, mentre dilagano il nichilismo da quattro soldi, l’ignoranza e l’arroganza.

Per fortuna c’è anche una Basilicata di chi si dà da fare, magari in silenzio, spesso sconosciuta a quella parte di urlanti giullari delle piazze virtuali. Giovani che si sono inventati o reinventati un lavoro, che nulla hanno a che fare con le taverne dei patrigni gatto volpeschi.

Donne e uomini che si fanno strada tra sentieri imbattuti, che rischiano in proprio, che si assumono responsabilità. Esistono persone serie e oneste, capaci e competenti, che fanno fatica ad affermarsi e non sempre per “colpa della politica”, ma anche per causa di quella Basilicata di imbecilli che oltre a fare danno a sé stessi mettono a rischio ogni tentativo serio di cambiamento. La differenza è tra chi svuota il mare con il cucchiaino e chi il mare lo attraversa e lo affronta.

È questa ultima Basilicata, fatta di minoranze laboriose, capaci, e spesso silenziose e distanti, distanti anche tra di loro, che può fare la differenza. Bisogna metterla insieme, costruirle spazi di manovra liberi e intelligenti, sostenerla nella costruzione di una visione più ampia, nella prospettiva ideale e non solo ideale, di un futuro visibile. E’ questa Basilicata che può guarire l’altra e mandare in esilio tutti i patrigni.