“Solo una decrescita felice (selettiva e governata) può salvarci”

Ne abbiamo parlato con Maurizio Pallante e Alessandro Pertosa

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Siamo tutti più o meno consapevoli del fatto che siamo affetti da forme più o meno accentuate di workaholism. Contestiamo l’impiego del Pil come grandezza idonea per la stima del benessere delle nostre comunità. Più o meno tutti siamo dotati della sensibilità per intendere che il ciclo perverso produzione-consumo nelle cui spire siamo sprofondati è la condanna dell’uomo contemporaneo. Ma quali potrebbero essere le alternative? Quali le premesse per un cambio di paradigma? Di decrescita, città ed energia ho discusso con Maurizio Pallante e Alessandro Pertosa, gli autori del saggio “Solo una decrescita felice (selettiva e governata) può salvarci”, incontrati nella Libreria Campus di Bari.

Maurizio Pallante, le chiederei di definire quali siano i principali temi trattati all’interno del vostro nuovo saggio “Solo una decrescita felice (selettiva e governata) può salvarci”, scritto con Alessandro Pertosa.

Maurizio Pallante: Questo è un libro diviso in due parti. Nella prima parte mettiamo a punto alcuni strumenti conoscitivi inerenti alla prospettiva della decrescita. Nella seconda parte analizziamo alcuni dei tempi più caldi dal punto di vista politico. Usiamo il termine “politico” nel senso più nobile della parola, non in termini partitici in quanto quella dei partiti è una logica rispetto alla quale siamo estranei. Cerchiamo di porci su posizioni con un respiro culturale più ampio. I temi che abbiamo affrontato sono quello del lavoro, che è stato sviluppato da Alessandro Pertosa, un tema dalle valenze filosofiche ed esistenziali, non soltanto economiche e occupazionali; quello del mercato, in quanto bisogna sgombrare il campo tra il mercato come indispensabile luogo degli scambi e l’economia di mercato, che è invece un’economia finalizzata alla sola produzione di merci. Si intende bene come si tratti di due concetti diversi. Abbiamo affrontato poi il tema della globalizzazione, cogliendo da una parte la sua tendenza a uniformare i comportamenti delle persone, gli stili di vita, dall’altra la messa in concorrenza dei lavoratori occidentali con quelli dei popoli più poveri, in cui non ci sono diritti per i lavoratori e le retribuzioni sono assai più basse, ai quali le multinazionali accordano una evidente preferenza negli investimenti. Abbiamo infine trattato il tema del superamento della contrapposizione destra-sinistra, non per asserire che esse siano ormai indistinguibili, ma evidenziando come si tratti di una contrapposizione contrassegnata dall’epoca storica in cui è stata codificata. È stata utile a capire le dinamiche per un certo periodo ma oggi non consente più di decifrare e spiegare gli eventi.

In “Le città invisibili”, Italo Calvino descrive una delle sue città immaginate, Leonia, in cui i cittadini provano come unico piacere quello di acquistare nuova merce e disfarsene dopo il primo utilizzo. Sembrerebbe una profezia di quel che poi è successo all’interno delle nostre metropoli e megalopoli. Sulla base delle sue riflessioni quale profezia della città, con riferimento all’uso dell’energia sente di proporre?

Alessandro Pertosa: Emerge intanto la necessità di un ripensamento complessivo della città. Non è detto che da qui ai prossimi cento anni la distribuzione degli esseri umani sul territorio debba restare immutata. Io non credo che il futuro passi ancora per le metropoli. Credo invece sia fondamentale pensare che la vita pienamente umana si nasconda fra i paesini abbarbicati alle pendici dei monti. C’è un paesologo molto noto, Franco Arminio, che dice esattamente questo: torniamo all’Appennino. E io aggiungo: torniamo ai luoghi dov’è ancora possibile costruire relazioni umane autentiche. Il problema delle società basate sul consumismo riguarda il mondo occidentale nel suo complesso, ma le città e le metropoli in particolare, perché nelle città si vive in maniera atomizzata, si vive isolati, appartati. Ognuno per conto proprio. Questo comporta una crescita esponenziale dei rifiuti, degli sprechi. La prevalenza di famiglie “mononucleari” e di single rifugiati nel proprio “appartamento” è la causa prevalente dell’aumento degli sprechi alimentari ed energetici. Tutto questo, portato alle estreme conseguenze, porta a situazioni anche difficilmente gestibili, che sono quelle in cui ci troviamo oggi. Quindi, dovendo fare una profezia, proverei a immaginare un mondo in cui i rapporti di forza tra metropoli e paesi e la distribuzione delle persone tra città e provincia sia diversa e più equilibrata. Anche perché le metropoli avevano senso (semmai hanno avuto un senso) in un tempo di forte industrializzazione. Ora che ci troviamo immersi in una crisi sistemica, in cui non rivedremo più il lavoro come lo abbiamo conosciuto, con un continuo ricorso alla meccanizzazione industriale, l’automazione e l’uscita di molti lavoratori dal ciclo produttivo, si porrà anche il problema di immaginare una sopravvivenza per tutte queste persone. Io vivo in un paese di circa 900 abitanti, in cui quasi tutte le persone hanno un orto. Non dico che si possa sopravvivere solo avendo un orto ma quantomeno è garantita una minima sussistenza. Se invece in una periferia di una grande città una persona che abita al quindicesimo piano di un palazzo perdesse un lavoro cosa farebbe? Se devo immaginare il mondo futuro lo immagino decisamente più equilibrato, quindi città meno grandi. Non necessariamente un ritorno alla campagna ma quantomeno un ritorno a dimensioni relazionali diverse. Ad esempio, non è detto che si debba pensare alla convivenza condominiale solo in termini conflittuali. Se in un palazzo di quindici piani ci sono famiglie con bambini piccoli e famiglie di pensionati sarebbe ragionevole scambiarsi dei servizi. Anziché mandare un bimbo all’asilo nido lo si potrebbe affidare a delle persone anziane evitando che queste siano ad esempio in balia di un televisore. E viceversa la coppia più giovane aiuterà gli anziani in altre attività (far la spesa o altro), creando dinamiche relazionali diverse, fino a creare delle microcomunità. Non si può infatti auspicare che tutti si spostino nei paesi ma è altresì indispensabile pensare a nuove modalità abitative nelle città.

Nuove forme di convivenza tra i cittadini, dunque. E a proposito della possibilità di creare delle Comunità dell’Energia?

Maurizio Pallante: Quello dell’energia è in effetti il problema dei problemi. L’energia è responsabile dell’innalzamento della temperatura terrestre a causa dell’uso di fonti fossili ed è al contempo la causa principale di conflittualità a livello globale proprio per il controllo delle fonti di energia. Questo succede perché noi consumiamo in maniera irresponsabile. Per noi l’energia è un interruttore che si schiaccia per accendere e spegnere qualcosa. Tutto quel che c’è dietro ci sfugge completamente o non suscita minimamente il nostro interesse. Se invece iniziassimo a capire tutte le implicazioni di quel che viene fatto faremmo scelte di carattere diverso che non possono non essere scelte collettive. Non è possibile che un singolo da solo riesca sotto questo profilo a far bene. Non è possibile in quanto vi è una dimensione ottimale, che non è quella individuale e neanche quella delle grandi masse. Qualche anno fa si pensava che la maniera migliore per ridurre gli sprechi del riscaldamento negli edifici fosse l’installazione di caldaiette individuali. Si scoprì presto che si tratta di una soluzione che crea invece molte criticità in termini di gestione, manutenzione, spreco. La soluzione ottimale è quella di una caldaia centralizzata, gestita da persone esperte, con ripartitori di consumo all’interno dei singoli alloggi. Per cui si abbina il massimo dell’efficienza di produzione e il massimo della responsabilità legato alla gestione individuale. Il massimo dell’efficienza si ottiene pertanto in una dimensione che non è individuale ma neanche totalmente collettiva, prevedendo profili di personalizzazione dei consumi. Sono del tutto favorevole alla creazione di impianti in cui il consumatore abbia anche un ruolo nella fase di produzione di energia. Questo lo porta a comportarsi responsabilmente, a porsi un problema, a non mantenere con l’energia un approccio magico: il gesto dell’accensione con un interruttore. Quando mi sono occupato della questione energetica, già negli anni Ottanta del secolo scorso, ebbi la fortuna di incontrare il responsabile tecnico del Centro ricerche Fiat che mi spiegò una cosa fondamentale: a differenza di quanto pensano gli ambientalisti, il problema energetico non passa necessariamente attraverso la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma passa prioritariamente attraverso la riduzione degli sprechi. Solo successivamente, ridotti gli sprechi, possiamo utilizzare le fonti rinnovabili in maniera intelligente. Produrre energia pulita e sprecarla non ha alcun senso. Egli aveva utilizzato un motore automobilistico per realizzare impianti di riscaldamento, collegando il motore a un alternatore. Il gas che veniva utilizzato dal motore serviva a produrre energia meccanica che veniva impiegata per produrre energia elettrica. Il calore residuo prodotto in gran copia all’interno del motore, veniva utilizzato per scaldare l’acqua (acqua calda sanitaria e riscaldamento). Per cui, con la stessa quantità di gas impiegata per riscaldare mediamente un appartamento si produceva energia elettrica per dieci appartamenti e col calore recuperato si poteva ottenere anche riscaldamento. Anche da questo punto di vista, il risultato non si sarebbe potuto gestire a livello individuale. Ecco che riemerge una dimensione in cui viene implicata la relazione tra persone nel raggiungimento di un obiettivo che sia soddisfacente sotto il profilo economico ma anche vantaggioso sotto il profilo ambientale.

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