Il gladiatore riluttante

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William Gibson non avrebbe alcun problema a raccontare il futuro distopico che la Basilicata sta vivendo da qualche anno. Tra disumanizzazione e allucinazioni si è fatta largo una figura nuova, paternalistica e ammonitrice, che cavalca quella sottile linea che divide i nefasti compromessi dagli incubi.

In mezzo alla catastrofe e lavorativa e ambientale, si erge sugli scudi il personaggio del “Gladiatore Riluttante” , un po’ poeta, un po’ nostalgico, autoreferenziale e visionario.

Il gladio, spuntato dalle mille battaglie, si fa largo tra le critiche, ammazzandole senza pietà alcuna e umiliandone i cadaveri per poi esporli al pubblico ludibrio.

La forza del Gladiatore sta tutta nel suo essere, all’apparenza, quasi sottomesso, con quell’aria alla Jean Reno, dando di sé un’immagine da “amicone” pronto a farsi in quattro per i Lucani.

Ma la sua, ahimè, è solo una tolleranza a denti stretti perché appena quei bifolchi irriguardosi e perdigiorno si prendono la libertà di chiedere più lavoro, più sanità, più servizi, si ritrovano vittime di una imperiosa gerarchia di potere che, prontamente, vibrando fendenti mortali, tende a correggere, seduta stante, quel “quadro deforme” che prova ad insidiare le sue narrazioni fantastiche nonché il proprio autocompiacimento.

La leggenda narra di un Gladiatore che non conosce il significato della parola “negoziazione”, che se ne infischia delle identità territoriali, che non vede oltre il proprio orizzonte.

Il Gladiatore riluttante è signore assoluto della nostra terra, ne ha fatto il crocevia di torri, filosofi e guerrieri da tastiera, non permette a nessuno di smontare il fantasmagorico racconto lucano, ideato e diretto tra le ombre dell’oro nero.

Punta il gladio contro i nemici della rivoluzione e, con colpi secchi e decisi, li respinge, scacciandoli verso un estraniante esilio.

Ormai ha abbandonato l’audacia iniziale e, grazie ad una parola magica suggeritagli da un suo druido, il confortante ‘tuttapost’ vive sdraiato sugli allori, mentre gran parte dei suoi “fieri” oppositori si accontentano di vivacchiare in una zona grigia persi nelle tortuose strade del piagnucolio e della confusione.

Così il rapporto di forza diventa quasi una danza, lenta e logorante, in cui il Gladiatore-carnefice permette alle sue vittime di avvicinarsi quanto basta per infliggere loro un colpo svogliato, quanto basta per ridimensionarne la forza e renderle consapevoli del fatto che le certezze di vittoria verranno inesorabilmente e tristemente divorate dall’illusione.

“La resistenza è inutile”, per citare il comandante dei Borg in Star Trek, il Gladiatore scenderà nell’arena e li spazzerà via tutti, indolente e ironico, inglobandoli nel suo vuoto assoluto e metafisico, piantando l’ennesima bandierina del ‘tuttapost’ ergendosi a dio vivente della supercazzola con un nuovo, originale slogan: “Né in terra, né in mare…”. Indovinate cosa…

Mimmo Toscano

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