Salviamo i bambini dalle loro mani

Provate a chiedere ad un bambino quale lavoro vorrebbe fare da grande. Non è escluso che vi risponda: “Spider man” o magari, “Star war”.

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Eravamo bambini e giustamente ci educavano al fare. Dapprima con i giocattoli che erano giocattoli da “lavoro”. Il medico, il chimico, il pompiere, la ruspa, il camion, l’infermiera, la mamma, la carriola, la pala… E poi noi stessi a costruire fionde, fucili a molla, slitte, capannucce. Eravamo educati al fare. Le uniche chiacchiere consentite e ben accolte erano le narrazioni dei vecchi, i racconti di spiriti, folletti e fantasmi. O anche le storie di eroi e guerrieri. Secoli fa? Niente affatto. Al massimo fino tre decenni or sono.

Provate ad osservare i giocattoli di oggi. Ero a Firenze, un paio di settimane fa. In piazza Santa Croce un bambino nel passeggino, credo avesse 4 anni, smanettava con un aggeggio elettronico, come un ossesso. Era un giocattolo? Un balocco? Parole perdute. I balocchi non esistono più, scomparsi nel tempo che corre come un forsennato. Provate a chiedere ad un bambino quale lavoro vorrebbe fare da grande. Non è escluso che vi risponda: “Spider man” o magari, “Star war”. Non sono mestieri,  ma raffigurazioni di realtà virtuali nelle quali basta avere un potere magico per ottenere ciò che si desidera e ciò che si vuole essere. Sappiamo che il potere magico nella realtà non esiste.

Esistono tuttavia i talenti, spesso mortificati da un’educazione impazzita e centrifugata in assurdi scenari di “non vita” in “non luoghi”.

Chissà se i bambini sono ancora affascinati dal lavoro degli adulti. Forse no. Di quali adulti? Di quelli che vorrebbero rimanere sempre giovani e che adulti, nonostante l’età, non lo sono mai diventati? E poi da quale lavoro dovrebbero essere affascinati? Dal precario alle poste o nel call center? Dal magazziniere sfruttato nei capannoni di Amazon? Dal bracciante pagato in nero? Sempre più bambini sono a contatto con la disoccupazione e il pensionamento. Genitori precari o disoccupati e nonni pensionati. Nessuno  ancora ha inventato il gioco o il giocattolo del disoccupato o del pensionato.

Tuttavia quei bambini hanno la loro dose abbondante quotidiana di aggeggi elettronici.

Sono più di 250 mila gli adolescenti italiani, fra gli 11 e i 17 anni, stregati da pc, chat e videogame, tanto da passare circa 8 ore al giorno online o alla consolle della playstation. “Piccoli eremiti informatici”, inconsapevoli del loro isolamento. La metà supera le dieci ore ed entra nella sindrome di Hikikomori, una devastante dipendenza che aliena il soggetto fino a renderlo indivisibile dal mondo virtuale.

Avremo tanti adulti, mai cresciuti, con le mani lunghe e il cervello piccolo. Mani per pigiare non per manipolare, mani per chiacchierare, non per fare. E già. Lo sappiamo, la bocca non serve più a veicolare parole, ma la usiamo solo per mangiare o per ruttare, neanche per fare le smorfie, a quelle ci pensano le emoticon. Adesso per parlare devi usare le mani, proprio quelle mani che un tempo servivano per fare.

Ecco un paradosso del nostro tempo: parliamo con le mani che un tempo, nella chiacchiera, servivano per sceneggiare le parole, per gesticolare. Oggi servono per produrle le parole senza pronunciarle. Siamo tutti scrittori. Scrittori muti. Verba mortua, scripta volant.

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