Ho un legame forte con la Lucania e lo trasferisco nel mio lavoro foto

Antonio De Stefano, attore della compagnia Teatro A– Associazione Ariadne, in scena in questi giorni allo Stabile Potenza, ci racconta la sua scelta e lo spettacolo che lo vede tra i protagonisti

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Le luci mettono a fuoco quattro studenti e una professoressa. La scenografia è una casa accogliente e allo stesso tempo  modesta. Alla porta bussano quattro ragazzi. È il compleanno della loro insegnante. Il tempo è quello degli esami di Stato, esattamente quello del giorno successivo alla prova di matematica. Il racconto è incalzante: comincia con musiche allegre fino ad esaurirsi in cori cupi e tristi. Anche le luci cambiano: dal giallo passano al rosso.

“Suona solo per me” è  il titolo della pièce portata in scena questi giorni al Teatro Stabile di Potenza dalla Compagnia del Teatro A– Associazione Ariadne. Tratta il tema della violenza contro le donne, inserito nel progetto “ProjectScuola”, ossia una rassegna dedicata ai ragazzi sui grandi temi della società.

Inizialmente l’atmosfera è festaiola e la professoressa si commuove al pensiero che hanno avuto i suoi alunni per lei. Intanto, la prospettiva si allarga e i ragazzi mostrano il loro carattere. Valerio, introverso e silenzioso, ma violentemente caparbio. Vittorio è il giocherellone del gruppo. Paolo, di animo sensibile, sogna di voler fare l’attore e Lara, la sua ragazza, ama cantare e vorrebbe la “bella vita”. Di certo, il loro rapporto con i genitori non è dei migliori.

La violenza irrompe in scena con una narrazione cruda. I ragazzi pretendono che l’insegnante consegni loro la chiave della cassaforte che contiene i compiti di matematica. Vittorio, Lara e Paolo hanno consegnato i fogli in bianco e vogliono sostituirli. La professoressa sbigottita, quasi si sente tradita dai suoi studenti.

Il “crimine” è nella mente di Valerio che escogita piani e manovre per ottenere la chiave, lui la chiama “morale”. La professoressa viene minacciata, legata ad una sedia, toccata e spaventata con parole offensive. Fino a che non si accascia in uno stato confusionale. Però non cede a consegnare la chiave.

Per Valerio c’è un’ultima cosa da fare per convincerla: stuprare Lara. Paolo indeciso e anche ferito per le parole di Lara “sono disposta a rinunciare a Paolo per uno più ricco e benestante”, decide alla fine di accettare l’idea anche per un incalzante Valerio che si “traveste” da bullo. La scena si fa violenta, Lara viene strattonata, messa su un lenzuolo, Vittorio la tiene ferma, mentre Valerio si cala i pantaloni. Paolo sta in un angolo mentre Lara implora il suo aiuto.

Alla fine l’insegnate si alza, urla a Valerio di smetterla e gli consegna la chiave. Tutti svengono: Lara pietrificata, Paolo rannicchiato su se stesso, Vittorio in ginocchio e Valerio, vittorioso con la chiave in mano, stremato anche lui, cade a terra. La casa è in uno stato pietoso e gli umori sono a pezzi: quella chiave non verrà utilizzata ma violenza e bullismo si sono impossessati dei quattro ragazzi.

Al termine dello spettacolo abbiamo intervistato uno degli attori della Compagnia Teatro A, Antonio De Stefano che ci ha raccontato la genesi della rappresentazione e la sua passione per il teatro. 

«Mi chiamo Antonio, ho 31 anni, sono lucano e nello spettacolo sono Paolo. Faccio parte della Compagnia Teatro A – Associazione Ariadne da cinque anni. Il lavoro della direttrice artistica Valeria Freiberg – continuando il progetto del suo predecessore Arnaldo Nichi – è quello di far avvicinare e, quindi, formare ed educare i ragazzi attraverso il teatro, infatti, il nostro repertorio affronta i grandi temi della società prendendo spunto dalla letteratura mondiale.

Non a caso “Suona solo per me” inscena, attraverso una drammaturgia estremamente coinvolgente, alcuni atteggiamenti di cui le cronache di oggi sono piene, nutriti dall’idea della superiorità dell’uomo sulla donna. Atteggiamenti che sfociano nella degenerazione facendosi violenza e prevaricazione. L’obiettivo di questo spettacolo è trasmettere al pubblico un momento di riflessione, e in modo particolare agli studenti che in questi giorni stanno venendo a teatro per assistere al nostro progetto».

Quando hai deciso di fare l’attore?

«Ho cominciato a fare teatro, purtroppo tardi, all’età di 23 anni. Mi sono iscritto a una scuola di recitazione di Roma “Acting Creazione e Ricerca di Lucilla Lupaioli”. Non c’è stato un episodio particolare che mi ha spinto a fare questo mestiere, solo una grande voglia di esprimere quello che avevo dentro. Sono un ragazzo timido ed introverso e speravo che il teatro potesse aiutarmi a sprigionare la mia sensibilità.

Decidere di fare l’attore, per giunta di teatro, quali difficoltà può comportare?

Inizialmente, il confronto con la mia famiglia è stato duro. Mia madre, in qualche modo, mi ha appoggiato nella mia scelta. Invece mio padre non l’ha presa tanto bene, anche perché in quel periodo stavo dando una mano all’azienda di famiglia. Giustamente, mio padre ha paura che l’attore non mi permetta una “sopravvivenza” economica. Forse ha ragione. Gli scontri sono stati inevitabili ma con il tempo ha metabolizzato la mia scelta anche perché si è reso conto della mia grande passione e l’impegno costante che metto in questo lavoro.

Non avevo mai fatto teatro prima e molte sono state le difficoltà che ho dovuto superare, soprattutto, all’inizio. Un ambiente nuovo, per me sconosciuto, in cui si parlava un linguaggio diverso e si imparava a fare gruppo e in cui c’erano delle regole precise. Mi sono messo a nudo e mi sono scontrato con le mie paure, incertezze e dubbi, in particolare, sulle mie capacità. Percorro, ostinatamente, questa strada perché vedo una luce in fondo al tunnel che forse non riuscirò mai a raggiungere. Tuttavia cerco di fare questo mestiere con umiltà e professionalità».

La tua voglia di raggiungere quella luce in fondo al tunnel come si concilia con l’essere parte di una compagnia teatrale che una volta in scena deve dare il meglio per apparire come un’orchestra ben accordata?

«Credo molto nel concetto di compagnia. Per me è un luogo dove il confronto continuo – con la regista Valeria, con i compagni, con me stesso e con i personaggi che interpreto – mi fa crescere. Ascoltare nel profondo rompe alcune resistenze e aiuta a elaborare nuovi punti di vista. In un gruppo ci sono delle regole ferree, collaborazione e cooperazione per far si che il prodotto finale risulti ottimale. Impari a togliere a te stesso per dare qualcosa alla compagnia. È nato, in questi cinque anni, un codice comune e artistico: una poetica da poter portare in tutta Italia».

Quali opportunità ti ha dato il teatro e cosa, invece ti ha negato questa scelta esclusiva di dedicargli la tua vita?

Questa è una domanda da un milione di euro. L’opportunità è stata quella di mettermi in gioco. Con molta tristezza sono partito, allontanandomi da casa, dagli affetti cari e dal contesto dove ero nato e cresciuto. Il mestiere d’attore è una grande fatica perché, purtroppo, non è considerato come dovrebbe. Nell’immaginario collettivo lo sei solo se hai un nome o diventi un nome. Se sei un ragazzo che dal nulla decide di dedicare la sua vita al teatro è sicuramente più dura. 

Cosa porti della tua terra, la Basilicata, nel tuo lavoro?

Ho un legame molto forte con la Lucania che trasferisco nel mio lavoro. Porto dentro di me le sensazioni e le persone con cui ho vissuto: gente umile ma capace, orgogliosa. Ed i ricordi, nei periodi più fragili e difficili, mi tirano sù. La propensione al lavoro e la capacità di superare gli ostacoli è frutto degli insegnamenti dei miei genitori e dei miei nonni».

La pièce che portate in scena tratta il tema della violenza in modo molto crudo, come ha risposto il pubblico di Potenza?

«Quella di portare gli spettacoli a Potenza è stata un’intuizione della responsabile organizzativa della compagnia Alessandra Santilli, la quale è stata subito appoggiata dal direttore artistico e dal resto della compagnia. Lavorare in un luogo lontano da Roma comporta delle difficoltà organizzative. È stato difficile raccogliere un pubblico ampio ma le scuole del territorio sono state molto propense a partecipare a questo progetto. Bisogna insistere e far capire alle persone che il teatro è riflessione».

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