Il dibattito pubblico tra rimpianti e illusioni politiche
Tutto si muove nel quadro di banali litigi “aggravati da futili motivi”
Qualcuno, anche autorevole, descrive un Paese rancoroso. Monta nell’aria un risentimento che ha origini antiche e complesse, dicono. In parte condivido. Ma la domanda è: risentimento nei confronti di chi? La mia risposta è: di tutti contro tutti. Basta guardare i talk show, basta leggere i giornali e, soprattutto, basta frequentare per qualche ora i social network. È in questi labirinti virtuali della parola e delle convinzioni personali che quel risentimento appare più facilmente nelle vesti di odio. Se non la pensi come me “sei un nemico, un pezzo di m… un fascista…un c…ne.” Se non la pensi come me “devi essere impiccato, stuprato”. Quali sono i due pensieri che si contrappongono, le diverse idee che litigano, non è dato saperlo.
Grandi assenti i contenuti, gli argomenti. E quando non si può o non si sa argomentare, il dialogo, il confronto sono impossibili. Più facile insultare, inveire, insinuare, con una cattiveria che è diventata la cifra dell’interazione politica e sociale. Pensarla come te o il contrario, presuppone che ci sia un pensiero dall’una e dall’altra parte. Presupposto spesso mancante. La gente si affranca sempre più dal pensiero e annega nelle parole. Tutti pretendono di avere ragione senza che ci sia un ragionamento a sostegno di quella pretesa. Tutto questo sembra destinato a nutrire un’assurda mescolanza di vuoto che feconda il corpo della realtà. Serve a confondere i contrari di uno pseudo moralismo di destra e di sinistra, di sotto e di sopra, per cui tutta la realtà tende a diventare grigia.
Il linguaggio, in questo scenario, gioca un ruolo fondamentale. Impoverito, inaridito, trasformato, per sottoporlo alle necessità di una semantica dell’odio e dell’insulto. Scarnificato fino all’osso per evitare la sopravvivenza del pensiero. Basta leggere alcuni giornali, replicanti di questo nuovo linguaggio, dove la sintesi si è fatta “sintetica”, plastica modellata per il largo consumo. Basta ascoltare alcuni politici, connettori dei discorsi social della peggiore specie.
Paradossalmente siamo di fronte ad un percorso involutivo molto pericoloso, che assume il passato, il “come eravamo”, il “come stavamo”, quale riferimento simbolico per l’interpretazione del presente. L’origine di questo percorso è il rimpianto. La gente è accomunata dal rimpianto: del ventennio, dell’antica Roma, della prima repubblica, delle ideologie e del muro di Berlino, e così via. Omologata nel rimpianto, un rimpianto sbagliato che preclude qualsiasi tentativo di ricerca di alternative storiche a prospettive di futuro.
Oggi, forse, l’odio, il rancore, la rabbia, le paure, sono il sale di uno scontro tra opposti rimpianti. Quei riferimenti al passato sottraggono linfa al presente e oscurano il futuro. Ci riportano a categorie di giudizio vecchie, svuotate di senso, falsificanti che, oggi, più che mai, diventano opposizioni terminologiche, consolatorie, ma anche banali.
A questo rimpianto collettivo non corrisponde un rimorso sociale. E soprattutto, non corrisponde un rimorso della politica e dei gruppi dirigenti. La responsabilità degli errori, delle decisioni, delle politiche è sempre di qualcuno altro che a sua volta le restituisce al mittente. Certo, la soluzione ai mali del nostro tempo non è il rimorso, né il rimpianto può essere lo strumento motivante di un cambiamento auspicabile.
Tra mille rimpianti e nessun rimorso siamo, tuttavia finiti in uno scontro orizzontale. Non tra “popolo” e vertici del potere, ma tra “popolani” che neanche si guardano più in faccia e con interazioni linguistiche senza capo né coda, utili a sfogare rabbia e risentimento e a null’altro. Tutto si muove nel quadro di banali litigi “aggravati da futili motivi.”
Se aggiungiamo la condizione degli intellettuali, ormai disarmati dalla mancanza di spregiudicatezza per contrastare il non senso comune, intimoriti dall’assalto volgare all’autorevolezza delle conoscenze e delle competenze, il quadro si fa più oscuro.
Se aggiungiamo che i miti dei giovani di un tempo sono stati sostituiti dai mitoidi dei giovani di oggi, l’oscurità cresce.
A chi giova tutto questo? Ai veri vertici dei veri poteri. Quei poteri invisibili, inafferrabili, i quali hanno bisogno di nuove tipologie di sudditi: ignoranti, facili da sedurre, che sfogano gli istinti contro i loro simili. Sudditi che giocano in campo virtuale senza tuttavia scalfire la realtà. Sedotti dalle false libertà e dai falsi diritti.