La lezione di Macerata, gli sciacalli della politica e la questione sociale
Non possiamo liquidare le vicende maceratesi di questi giorni con risposte banali e scontate. In gioco c’è la vita e il futuro di tutti
L’atto terroristico a Macerata, con tutto il vergognoso codazzo mediatico e politico che ne è seguito, è l’ultimo di una serie di episodi che da tempo scavano pericolose voragini nella società italiana. Il clima di odio e di paura, alimentato dalle incertezze e dalle condizioni socio-economiche di milioni di persone, dalla crescita delle disuguaglianze e dallo sciacallaggio politico, ha annebbiato, nella percezione collettiva, il futuro del Paese.
Siamo così arrivati alla fermata di un confine che è un vero e proprio azzardo storico. E la questione non riguarda soltanto il nostro Paese. Siamo sul confine che separa una società aperta da una società chiusa e che coincide con il confine che separa i diritti dalla barbarie civile, la democrazia dal totalitarismo, lo sviluppo dal sottosviluppo.
La crisi economica dell’ultimo decennio ha provocato disastri sociali. L’enorme accumulazione di ricchezza di pochi ha fatto da contraltare all’accumulazione di miseria di molti. Le disuguaglianze economiche e sociali sono cresciute in misura inaccettabile. Chi vive di rendita guadagna molto di più di chi vive del proprio lavoro. E chi vive del proprio lavoro vede sempre più accrescere la distanza che lo separa da chi vive di rendita. La mobilità sociale è ormai azzerata e il futuro, per milioni di persone, appare sempre più oscuro, indecifrabile.
La quantità di cultura, scienza e salute che un cittadino può comprare è ridotta ai minimi. Ampie fasce di popolazione non solo si sono impoverite, ma stanno, dunque, perdendo la speranza di poter migliorare la propria condizione. In questo scenario, il fenomeno migratorio gioca un suo ruolo e rappresenta un enorme sfogatoio della rabbia di una parte della popolazione che vive nella povertà economica e culturale.
La società si chiude sempre di più in se stessa, mette i lucchetti contro la diversità, alza muri per proteggersi dalle differenze, scava trincee contro l’ignoto. Si aggrappa alla “razza”, si nutre di odio, riscopre la Nazione. Il popolo diventa folla, la moltitudine si trasforma in popolazione.
Su questo terreno di analfabetismo civico e di intolleranza sociale, figli anche delle gravi condizioni materiali, si addensano sciacalli della politica che mirano ad accaparrarsi il consenso promettendo pane e sicurezza, pane e speranza. Ed ecco che la gente è disposta ad offrirsi a questi sciacalli, anche in cambio dell’annullamento dei diritti propri di un cittadino in una società aperta. Disposta ad offrirsi a chiunque prometta la soluzione rapida dei problemi che avvelenano la loro esistenza.
Quello che non si vuole capire è che siamo di fronte ad una, in parte inedita, grande questione sociale. Che parte da lontano. In primo luogo dall’insaziabile desiderio di dominio e di ricchezza degli esponenti di un neoliberismo economico che ha ridotto alla miseria intere popolazioni in Europa e nel mondo. E’ un capitalismo senza scrupoli, detentore assoluto dei mezzi di produzione digitali e intellettuali, avvezzo alla distruzione dell’impresa produttiva. In secondo luogo, specie nel nostro Paese, la questione sociale è aggravata da un decadimento senza precedenti del ruolo delle istituzioni e della politica.
E si sappia, ce lo insegna la Storia, che una questione sociale non risolta impatta fortemente sulla sfera politica e sulle strutture proprie di una società aperta.
Seguendo il dibattito (si fa per dire) di questi anni, non sembra ci sia la consapevolezza dell’esistenza di una questione sociale. Piuttosto la discussione pubblica appare svilupparsi su un terreno di scontro, anziché di confronto, tra partiti tutti accecati dal voto. Le proposte in campo mirano a dare false risposte rapide ai falsi problemi che sconvolgono la vita delle persone. I partiti, magari inconsapevolmente, si sono trasformati in una sintesi volgare, nel senso etimologico della parola, diventando i peggiori interpreti dei malanni del popolo. Non si curano affatto della salute e della tenuta delle strutture proprie di una società aperta, di quell’architettura liberale e democratica senza la quale non vi è prospettiva di sviluppo né possibilità di risolvere la questione sociale. Basta leggere i programmi, finiscono tutti col proporre soluzioni che assomigliano molto alle reazioni del popolo in sommossa in tempi di carestia: per procurarsi il pane, distruggono i panifici.
Stiamo rischiando grosso. La questione sociale oggi riguarda soprattutto la tenuta e la tutela dei diritti sociali e delle uguaglianze di opportunità alla partenza. Riguarda nuove politiche a garanzia di una più equa redistribuzione della ricchezza. In sintesi, occorre non solo tutelare, ma rendere più forte l’architettura della società aperta. Stiamo attenti.