Noi, questo Sud, ancora non lo conosciamo

Attraverso i versi di Bodini e Scotellaro possiamo trovare il bandolo della matassa

Atto di umiltà. Ciascuno di noi, al cospetto del colossale groviglio di questioni che attraversano il nostro Mezzogiorno, non può fare altro che denunciare la propria ignoranza, come chi sia costretto a chinare il capo prima di entrare in un luogo di culto.

Anche dopo aver letto cento libri, dopo essersi fatti mille idee, per rinnegarne altrettante e ricostruire tutto, cercando un altro bandolo della matassa. Forse, il modo migliore, è affidarsi alla potenza della poesia, sottesa da magnetismi che consentono alle anime di incontrarsi senza il bisogno di indirizzo, nè di orario.

Ad esempio, recitando tre versi, come questi:

Tu non conosci il Sud, le case di calce

da cui uscivamo al sole come numeri

dalla faccia d’un dado”.

L’incontro avviene così, senza bisogno d’altro. Sono le parole con cui inizia la raccolta “Foglie di tabacco”, di Vittorio Bodini, scritta tra il 1945 e il 1947.

Noi, questo Sud, ancora non lo conosciamo. E talvolta neanche vogliamo conoscerlo. Quel “tu” magico, di Bodini, si rivolge a tutti noi. Che per qualche piega presa dal caso siamo nati qui. Cresciuti, andati via e poi tornati. Obbedendo distrattamente al Caos, come anonimi numeri venuti fuori da un beffardo tiro di dadi.

Diciamocelo chiaro: ci vuole coraggio per partire, per tornare e per restare. Ogni scelta reca con sé un calice amaro. Lo sradicamento e l’asfissia sono in fondo due facce di una stessa medaglia. Ma la poesia ci potrà aiutare a percepire le energie sommerse. Pulite, libere, rinnovabili.

Ci vuole coraggio per mettere il dito nella piaga dell’ignoranza, dell’abiezione, dell’ipocrisia, dell’affarismo grasso e avido di chi prova ancora oggi a svendere tutto quel che abbiamo, a praticare sconti su ciò che siamo e potremmo essere. Col pretesto liso della crescita e del progresso.

E, prima di andare via, si potrebbero recitare altri versi:

Io sono un filo d’erba

un filo d’erba che trema.

E la mia Patria è dove l’erba trema.

Un alito può trapiantare

il mio seme lontano”.

Di Rocco Scotellaro, il poeta-sindaco di Tricarico. La sua rapida e promettente carriera politica fu azzerata, al principio degli anni Cinquanta, da accuse false, costruite da chi aveva capito che quel germoglio lucano stava assurgendo al ruolo di leader politico dei contadini, un pericoloso avversario da bloccare ad ogni costo, come spiegato bene da Nicola Tranfaglia. Senza una cospicua dose di lirismo e di energia, il ghiaccio non potrà sciogliersi. Incontriamoci. Parliamone.