Il nuovo Governo aumenti trasferimenti al Mezzogiorno e eviti le mance elettorali

Il vista del nuovo esecutivo le nostre domande al prof. Forges Davanzati

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In vista del possibile varo di un nuovo esecutivo, abbiamo posto due domande al professore Guglielmo Forges Davanzati, docente di Economia Politica all’Università del Salento.

Professor Forges Davanzati, al nascente governo quali iniziative suggerirebbe di intraprendere, in materia di economia, per il Mezzogiorno?

Va innanzitutto sgombrato il campo da un equivoco. Qualunque intervento di politica economica, nei media mainstream, richiede una corrispondente copertura finanziaria. L’ipotesi implicita riguarda il fatto che – in costanza di altre voci del bilancio pubblico (per esempio le spese militari) – vanno trovate risorse aggiuntive. Si tratta di un equivoco, dal momento che equipara il bilancio dello Stato a quello di una famiglia, assumendo che il bilancio pubblico sia soggetto a un vincolo di scarsità “naturale”. Le cose ovviamente non stanno così. Il decisore pubblico ha sempre la possibilità di ri-allocare le risorse disponibili secondo obiettivi che si ritengono desiderabili – secondo quanto dirò fra un attimo – così che le risorse sono scarse solo per l’esistenza di vincoli normativi.

Nel merito della domanda, questo significa che, anche rispettando i criteri posti dai trattati europei, il Governo potrebbe sottrarre risorse, per esempio al settore militare per destinarle a investimenti soprattutto nel Mezzogiorno. Investimenti per la messa in sicurezza del territorio, per l’espansione del settore pubblico (il più sottodimensionato in Europa, per numero di dipendenti) e soprattutto per la ricerca scientifica.

Occorrerebbe in tal senso invertire la rotta rispetto ai Governi precedenti su due aspetti: accrescere i trasferimenti ai residenti nel Mezzogiorno (ad oggi, i residenti nel Mezzogiorno ricevono, pro-capite, trasferimenti pubblici inferiori a quelli ricevuti dai residenti al Nord e pagano tasse superiori);

 evitare l’erogazione di mance elettorali, derivanti da spesa corrente (gli 80 euro in busta paga), per puntare sulla ripresa dell’accumulazione di capitale, che ha tre effetti positivi rispetto alla prima opzione:  accresce la domanda; accresce la produttività del lavoro; ha un effetto moltiplicativo di gran lunga superiore. La sola controindicazione – politica – è che gli effetti sono di medio-lungo periodo.

E in tema di università?

L’Università italiana, come ampiamente documentato da Gianfranco Viesti nel suo ultimo libro (La laurea negata), per la prima volta nella sua storia si è rimpicciolita: di un quinto. E soprattutto nel Mezzogiorno. Occorre anche in questo caso invertire la rotta, per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, va rilevato che l’Università italiana è stata oggetto di un attacco fatto da un mix perverso di sottofinanziamento e di pseudo-valutazione e che ciò si combina con una distribuzione degli scarsi finanziamenti che penalizza maggiormente le sedi universitarie meridionali e accentra risorse al Nord. Si rileva come questa linea si innesti in piena coerenza con le politiche economiche messe in atto negli ultimi anni:ovvero il continuo trasferimento di risorse al Nord, secondo la vecchia e fallimentare idea per la quale se la “locomotiva” parte, si trascina i vagoni.

Ma, a ben vedere, la presenza di una sede universitaria in un territorio è fondamentale per il suo sviluppo (soprattutto, me non solo: maggiore dotazione di ‘capitale umano’ e minori tassi di criminalità, possibilità di attivare crescita endogena attraverso le innovazioni prodotte nei Dipartimenti universitari) e ciò vale a maggior ragione in territori – tipicamente quelli meridionali – relativamente arretrati. In generale, i vantaggi individuali e collettivi della laurea sono molti. Uno in genere pressoché ignorato  è che un laureato ha un’aspettativa di vita di 5.2 anni in più rispetto a un non laureato.  

 

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