Sciopero di 8 ore lunedì 17 dicembre dei lavoratori elettrici, gas e acqua

"Se la norma dovesse applicarsi molte società del settore (tra cui Enel, Eni, Acquedotto Lucano) si trasformerebbero in un sol colpo in piccole e medie società appaltatrici"

Contestate alcune misure su appalti e titolari di concessioni, la “riforma Daga” del servizio idrico integrato e l’esclusione della geotermia dagli incentivi 70 mila posti di lavoro a rischio nel nostro paese e almeno un migliaio in Basilicata. Una cifra enorme ed un prezzo troppo salato da fare pagare alle comunità di cittadini, imprese e lavoratori. Un mix di misure governative e legislative che sta trovando la ferma opposizione di Filctem Cgil, Femca Cisl, Flaei Cisl e Uiltec Uil, che hanno indetto per lunedì 17 dicembre lo sciopero generale nazionale dei lavoratori dei settori elettrico, gas e acqua.

La prima misura contestata è l’articolo 177, comma 1, del cosiddetto Codice degli appalti – così i segretari regionali delle rispettive organizzazioni di categoria Palma, Carella, Padula e Martino – una regola, che non trova alcun fondamento nella normativa europea di riferimento, la quale stabilisce che i titolari di concessioni, già in essere al 18 aprile 2016 e che abbiano ricevuto l’affidamento “senza gara”, dovranno affidare una quota pari all’80 per cento dei propri contratti e servizi relativi alle concessioni, di importo pari o superiore a 150 mila euro, mediante procedura di evidenza pubblica, mentre per il restante 20 per cento potranno ricorrere a controllate/collegate.

“Se la norma dovesse applicarsi – spiegano i segretari – molte società del settore (tra cui Enel, Eni, Acquedotto Lucano, ecc.) si trasformerebbero in un sol colpo in piccole e medie società appaltatrici che dequalificherebbero servizi essenziali per la comunità, senza poter fare quegli investimenti necessari per modernizzare le infrastrutture energetiche e con un abbassamento generale dei livelli di sicurezza, visto che proprio negli appalti registriamo gli standard più bassi”. Filctem, Femca, Flaei e Uiltec evidenziano che “i concessionari sarebbero sostanzialmente espropriati delle attività inerenti alla concessione, divenendo delle mere stazioni appaltanti prive di ruoli operativi e gestionali, e si determinerebbe una polverizzazione a favore di terzi”.

In aggiunta, la cosiddetta “riforma Daga” del servizio idrico integrato prevede il ritorno alla costituzione di aziende speciali o enti di diritto pubblico, modificando quanto previsto dalla legge Galli del 1994 che organizzava il servizio idrico. “Così facendo si rischia un blocco agli investimenti di circa 2,5 miliardi di euro, oltre alla perdita del contributo Pil, con una ricaduta che impatterà sui circa 70 mila addetti nel settore e con un forte aumento potenziale per la fiscalità generale”, denunciano i sindacati, ritenendo che “lo sviluppo delle infrastrutture idriche nel nostro Paese non sia legato alla natura del soggetto gestore individuato, bensì all’organizzazione delle gestioni, e il ricorso agli investimenti debba garantire la diminuzione della dispersione idrica che, nelle aree in cui non si sono costituite le società uniche di gestione del servizio, si attesta intorno al 60 per cento”.

Filctem, Femca, Flaei e Uiltec rimarcano inoltre che “la frammentazione della governance aumenta i rischi sopra indicati, di contro, una dimensione adeguata risulta invece fondamentale per garantire la sicurezza degli utenti, la sicurezza dell’ambiente e la sicurezza dei lavoratori, per dare risposte veloci e per avere le competenze e gli investimenti necessari”.