2019: Europa al bivio tra dissoluzione e rilancio?

In questo breve saggio Pietro De Sarlo ci offre un'interessante riflessione sull'attualità e il futuro dell'Europa legati al destino del Mezzogiorno d'Italia

E allora? Ancora una volta se non si risolve il problema del Sud l’Italia intera non regge

Il problema del Sud, nato quasi 160 anni fa, è stato dimenticato nel mito del salvifico aggancio all’Euro che avrebbe risolto tutti i problemi. Da venti anni in questa visione i problemi del sud si sono aggravati e con esso le difficoltà dell’Italia.

Per entrare nell’euro il governo Prodi svendette patrimonio pubblico e bloccò la realizzazione di infrastrutture al Sud strategiche come la Lauria – Candela e quelle relative allo sviluppo della portualità del Mezzogiorno. L’effimero vantaggio della riduzione del debito non portò benefici duraturi poiché non modificò la struttura produttiva e commerciale del Paese. Negli ultimi venti anni le uniche infrastrutture fatte sono state al Nord, anche quando inutili, come la BreBeMi, o palesemente sovradimensionate come la linea AV Torino – Milano.

In figura 10 un illuminante grafico rubato da Il Fatto. In fila i disastri provocati da quelli che più di tutti urlano sulla incapacità di questo governo.

Sono gli stessi che hanno prodotto il differenziale attuale con la Germania (Fig. 4). Tra le alte cose per inseguire il rigore oggi abbiamo un pubblico impiego numericamente insufficiente, 8% contro il 13% della Germania, e con più della metà dei dipendenti che ha superato i 55 anni, contro il 20% della Germania. Un invecchiamento della PA che mette in crisi tutti i settori, dalla medicina di base alla istruzione e all’ordine pubblico.

Il problema del Sud non può essere risolto senza ristabilire un minimo di centralità politica nel Mediterraneo e senza fare le infrastrutture utili per fare del Sud il nodo logistico di ingresso dei commerci tra l’Europa e il Far East. Henry Pirenne (1862 – 1935) attribuì il declino dell’Europa e la nascita del Medioevo alla scomparsa dei commerci nel Mediterraneo (Fig. 11).

La Hutchinson Wamphoa, di proprietà del signor Li Ka Shing, uno degli uomini più ricchi del pianeta voleva investire sul Porto di Taranto circa 500 milioni per farne il terminale dei commerci con la Cina già nel 2009.

Taranto ha una posizione ideale tra Suez e Gibilterra. I cinesi fanno dei conti semplici: l’economia cinese e asiatica tirerà sempre di più, gli interscambi con l’Europa cresceranno e Taranto quindi ha la potenzialità per competere con i porti di Rotterdam e Anversa. Taranto, inoltre, ha un retroterra senza montagne e poco densamente popolato su cui espandere la logistica integrata al porto. Li Ka Shing, all’epoca, rappresentava l’ala più occidentalizzata della Cina. In aggiunta aveva ottime relazioni con Pechino, tanto da influenzarne le scelte.

L’Italia del sud sarebbe diventato l’asse su cui far cominciare a gravitare, dopo secoli, il Nord Italia e mezza Europa stabilendo una nuova centralità economica nel mediterraneo con vantaggi non solo per tutta l’Italia ma anche per la sopravvivenza dell’Europa.

Passano gli anni ma Li Ka Shing non riuscì ad avere una interlocuzione utile nella politica italiana. Disperato nel 2012 fece un ultimo tentativo e con Fabrizio Barca, allora ministro della Coesione Sociale, riuscì a firmare un accordo proprio per lo sviluppo di Taranto. Nel 2013 i cinesi vararono un colossale progetto chiamato One belt one road da un trilione e mezzo di dollari. Come si vede in figura le nuove vie di commercio cinese passano ovunque tranne che in Italia. Passa il governo Monti, passa quello Letta e passa buona parte del governo Renzi, ma poco o nulla accade finché nel giugno 2015 Li Ka Shing decise di lasciare Taranto e l’Italia al proprio destino ( http://www.affaritaliani.it/puglia/i–le-nuove-vie-della-seta–i-scordano-br-marco-polo-ignorano-taranto-492076.html).