I poveri sono colpevoli della loro povertà

Il dibattito surreale sul Reddito di cittadinanza si agita in un Paese nel quale a metà 2017, il 20% più ricco deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta

Mi sono chiesta più volte in questi giorni, assistendo ai dibattiti televisivi e leggendo i giornali, come mai tanto veleno contro il Reddito di cittadinanza. Non ricordo la stessa attenzione mediatica sulla misura dell’ultima ora di Gentiloni, il cosidetto Reddito di inclusione.

Uno degli argomenti che più mi ha colpito arriva da Confindustria: “E’ dannoso dare 780 euro a chi non lavora quando chi lavora, in particolare giovani alle prime armi, guadagna 800 euro”. Sarebbe a dire che nonostante la soglia di povertà determinata dall’Istat sia di 780 euro, questi “poveracci” per non danneggiare il mercato del lavoro, dovrebbe accontentarsi di 500 euro. Altrimenti, a parere di quelli che la povertà non l’hanno mai vissuta, si disincentiva il lavoro e si incentiva il divano, perché a nessuno converrebbe lavorare per 20 euro in più.  Per questa gente i giovani o i disoccupati sono dei fannulloni a prescindere. Eppure nei mesi scorsi, gli stessi che oggi si lamentano per i troppi soldi offerti ai poveri ci raccontavano la storiella della dignità del lavoro. Si strappavano le vesti per convincere tutti noi che la gente non vuole l’elemosina del reddito di cittadinanza ma il lavoro. Perché il lavoro è dignità, il reddito è umiliazione. Adesso però, la storiella cambia: la gente vuole il reddito e non il lavoro. Vai a capire! Intanto hanno confessato un dato: anche chi lavora, in questo Pese, è povero. Bella scoperta!

Un altro argomento che mi ha colpito, lo ha introdotto qualche sera fa, in una trasmissione televisiva, il direttore de L’Espresso, il quale ha sostenuto che il Reddito di cittadinanza sia una scelta tattica elettoralistica, poiché la maggior parte dei beneficiari risiede al sud dove il M5S ha fatto il pieno dei consensi. Questo ragionamento funzionerebbe se i poveri del sud fossero stati creati apposta dai Cinque Stelle in decenni di paziente malefico lavoro in previsione della loro nascita e della loro vittoria alle elezioni del 4 marzo scorso. Se la maggioranza delle famiglie povere abita nel Mezzogiorno la responsabilità non è certo di chi oggi propone il Reddito di cittadinanza. Quindi anche in questo caso, vai a capire!

Che questa misura vada migliorata è fuor di dubbio, pur mantenendo lo spirito e l’ossatura del provvedimento. Tuttavia non scenderei dalle nuvole con la storiella dei furbetti e della trappola della povertà. Si tratta di criticità implicite in tutti i provvedimenti simili. Anche se oggi sembra che queste criticità siano esclusivo appannaggio del Reddito di Cittadinanza.

La verità che emerge dal dibattito dei signori e delle signore con la pancia piena è un’altra. Esiste un pregiudizio duro a morire, rafforzato dallo stereotipo per cui i poveri, i disoccupati, gli emarginati sono responsabili della loro condizione. Sono loro a non voler lavorare, sono loro che si accontentano dei sussidi, sono loro incapaci di farsi strada, di emergere. E’ tutta colpa loro. Sono poveri per causa della loro ignoranza, delle loro famiglie numerose, della loro incapacità di reinventarsi, di rischiare, di mettersi in gioco e così via. Loro non solo hanno meno ma sono meno. Ed è in quel “sono meno” che emerge il sarcasmo di certi dibattiti al limite della decenza. Tutti a giudicare sugli spiccioli da sottrarre o da aggiungere a chi non ce la fa. Tutti a disquisire sulle intenzioni dei poveri: vorranno lavorare, non vorranno lavorare? Faranno i furbi?

Tutto questo fior fiore di dibattito si sviluppa nel contesto paradossale di un Paese nel quale, a metà 2017, il 20% più ricco deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta, e dove nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero dei cittadini è diminuito del 23,1%.