La svolta autonomista e l’urgenza di una reazione civile del Sud

L’accelerazione della svolta autonomista, impressa in alcune regioni del Nord, ricolloca in agenda l’urgenza di più efficaci approcci alla Questione Meridionale

L’accelerazione della svolta autonomista, impressa in alcune regioni del Nord, ricolloca in agenda l’urgenza di più efficaci approcci alla Questione Meridionale: una descrizione onesta, obiettiva, che non si riduca a un rivendicazionismo revanscista, da un lato, ma neanche a un ingiustificato entusiasmo autocelebrativo. Se è vero che, a macchia di leopardo, rilevano buone pratiche anche a Sud, resta il fatto che il reddito pro capite di un meridionale, nel 2014, si attestava al 56.3% rispetto a quello del Centro-Nord e, secondo i dati oggi disponibili su Eurostat, il numero dei giovani inattivi (o Neet) tra 18 e 24 anni, in Puglia, è al 36.4%: ci superano, in peggio, solo alcune regioni della Turchia.

La partecipazione

Al Sud, in primis, occorrerebbe la legittima protesta di cittadini sempre più partecipi e attivi; un’incauta, incruenta e gentile eversione di sguardi, in grado di posarsi sulle persistenti contraddizioni sociali ed economiche, che stridono come freni di un treno. La nuova frontiera della partecipazione non sarà banalmente il voto telematico esteso a tematiche specialistiche su cui occorre invece rivolgersi a poche persone ben preparate, bensì sarà sempre più quella della trasparenza, della disponibilità di open data, di piattaforme che rendano disponibili e intelligibili i dati che riguardano le condizioni di vita nelle nostre città: dall’ambiente alla salute, dall’energia all’economia e alla ripartizione delle risorse.

Si colgono, è vero, le belle fiammate dei ritorni al Sud, mentre aumenta la coscienza percettiva dell’intensità dei luoghi, che lega, sottotraccia, i giovani al proprio territorio. Però, al netto dell’innegabile utilità delle esperienze estere, è inutile nascondersi che se una comunità non costruisce il percorso del ritorno, serrando, anzi, i battenti con l’asfissia e le cooptazioni anti-meritocratiche e clientelari, le cose non vanno. Si rischia di perdere per sempre forza, entusiasmo, capacità, visione, restando fermi a forme e modi che datano fine Ottocento. Allora, l’emigrazione era interpretata come utile valvola di sfogo per attenuare i contrasti sociali ed economici: le rimesse degli emigrati furono fondamentali per tutto il paese. E oggi? abbiamo aperto il millennio con mezzo milione di giovani meridionali (200 mila i laureati) che in 15 anni hanno lasciato il Sud per realizzarsi. Si rischia di consegnare interi paesi alla desolazione e, ça va sans dire, alle proteiformi mafie. Se si volesse “davvero” metter mano alla Questione Meridionale, si dovrebbe porre un termine a questa emorragia di risorse.

Un nuovo patto per l’Italia

Come? con il coraggio di alimentare le “sane utopie” che potranno offrirci la capacità di visualizzare un nuovo modo di essere Italia ed Europa, inscindibilmente: si rende necessario un nuovo patto di amicizia e fiducia, basato sul concetto di “interdipendenza economica” tra le macroaree del paese, proprio come recentemente ribadito dal Rapporto Svimez 2018. Alla miopia dell’interpretazione localistica del federalismo fiscale, varato con la Riforma del Titolo V della Costituzione, tuttora privo (dopo quasi quattro lustri) della definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, bisognerebbe rispondere con leadership lungimiranti e coraggiose, capaci di armonizzare gli interessi delle diverse anime del paese. Come è stato fatto in altri momenti cruciali della nostra storia. Si pensi alle parole di Enrico Mattei, «Non mi interessa essere ricco in un Paese povero».

Il residuo fiscale secondo gli esperti

Di recente, sono stati anticipati gli esiti di uno studio di Adriano Giannola e Gaetano Stornaiuolo, che mettono in guardia sui rischi indotto dal “federalismo differenziato”. I due studiosi aggrediscono l’argomento principe della propaganda delle regioni più interessate a dar corso a quella che sembra proprio assumere i connotati di una avventata “secessione dei ricchi”: il Residuo Fiscale. Osservano prima di tutto che ogni regione ha al suo interno una quota di abitanti che “dona” e una che “riceve”, anche in relazione al livello dei servizi erogati dal medesimo ente. Inoltre, secondo Giannola e Stornaiuolo, il reclamato Residuo Fiscale sconterebbe un errore di omissione contabile. La sua determinazione, brandita come cavallo di battaglia da certi governatori del Nord, andrebbe ridimensionata tenendo conto della quota di interessi sul debito pubblico e della sua ripartizione territoriale. Essa costituisce un’entrata per i titolari e un’uscita per lo Stato. Conteggiando questa voce, il Residuo Fiscale Finanziario andrebbe a prosciugare il presunto pozzo di San Patrizio del Residuo Fiscale sbandierato dagli autonomisti, riducendo quello lombardo di 40 mld/anno a meno di 12 e quello di Veneto ed Emilia Romagna a circa 2 mld/anno. Basta, poi, un’occhiata ai dati Svimez 2018 (20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferiti alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi; 2 miliardi l’anno portati via dal Sud con la migrazione intellettuale dei soli laureati; circa 3 miliardi l’anno movimentati mediante l’emigrazione studentesca), per capire che gli equilibri sono più delicati degli slogan e meritano molta più riflessione di quanto si possa, di primo acchito, pensare. Per l’interesse di tutto il paese, non solo di una sua area.

Qui si rischia grosso

Il filosofo Massimo Cacciari, a tal proposito, ha dichiarato: Il punto evidente è che c’è una sperequazione enorme che sta crescendo tra Nord e Sud. E tutti gli indici lo confermano. La situazione ormai in tutti i settori, tra nord e sud, si sta divaricando: trasporti, servizi sanitari e scolastici, reddito, occupazione. La forbice sta aumentando. Questo è drammatico e spacca il Paese”. Troviamo, allora, il coraggio di pronunciare alcune parole, come “inclusione”, o “energia”. I tempi vanno anticipati, le strade bisognerebbe persino immaginarle. Pare che Annibale, trovandosi di fronte le Alpi, abbia pronunciato una frase che ben si adatta alle esigenze del Sud e del nostro paese: “Aut inveniam viam, aut faciam”. Una via la troveremo, oppure ne costruiremo una.