La bussola della diffidenza per delegittimare un fenomeno sociale

Hilde Petrocelli racconta la sua esperienza alla manifestazione delle Sardine a Bologna. In quella piazza strabordavamo dal “crescentone”, nella misura di circa 12.000 persone…

L’episodio che ha innescato il fenomeno sociale delle “sardine” ormai è, più o meno, noto a tutti: l’esponente della Lega (ex nord) Salvini ha annunciato il lancio della campagna elettorale regionale dichiarando di voler liberare l’Emilia Romagna, e di volerlo fare dal Paladozza (luogo sacro del Basket regionale ma anche luogo che ospitò l’“Assemblea del movimento del ’77”, due congressi del PCI ed altri eventi politici di sinistra). Ora, poiché in occasione delle altre “adunate” presenziate dal Capitano si sono sprecati i numeri in merito alla partecipazione dei simpatizzanti leghisti, considerata la capienza massima di 5.570 persone che il Paladozza è strutturalmente in grado di ospitare, è stata lanciata la sfida di portare in piazza Maggiore quantomeno 6.000 persone, strette strette come sardine, tutte sul “crescentone” (il “gradino” sopraelevato della Piazza), per dire no a questa idea di “liberazione” assolutamente fuori luogo. Flash mob lanciato e attuato in sei giorni. Questo doveva essere, al netto di complotti vari.

In quella piazza strabordavamo dal “crescentone”, nella misura di circa 12.000 persone, strette strette – appunto, come sardine – unite da una unica vera domanda: vogliamo svegliarci il 27 gennaio e chiederci come sia stato possibile affidare la Regione alla Lega?

La domanda non era e non è banale, e non lo è perché in Emilia Romagna, alle scorse elezioni regionali del 2014, l’affluenza è stata bassissima: 37,71%, contro il 68% delle precedenti elezioni. Nel 2014, per la prima volta in Emilia-Romagna, Bonaccini vinse con meno del 50%. Fu la débâcle della sinistra, ancorché vittoriosa.

Quella domanda futuribile, distopica direi, pretendeva una risposta oggi, non il 27 di gennaio 2020. E abbiamo risposto, in tanti.

Da partecipante attiva di quella prima “chiamata a raccolta” delle sardine, io testimonio il bisogno di partecipazione, individuale e collettivo, manifestato attraverso lo stupore di altre domande: ma da quanti anni la sinistra non ci portava in piazza, da quanti anni ci costringevano a contarci nei teatri e ad ascoltarci in algidi posticini, distanti dalle paure e dai sogni, chiusi ai rumori del mondo, estranei alle necessità di donne, uomini e bambini? Troppi.

L’entusiasmo è decollato, ed era inevitabile. Salvini ha invocato una liberazione, ma ha ignorato il significato vivo ed attuale di quella medaglia d’oro al valore militare appuntata sul gonfalone della Città di Bologna. Ha ignorato che la Regione non è da liberare semplicemente perché Libera lo è già, e da allora è tra le più efficienti d’Italia.

La provocazione di Salvini, in fin dei conti, ha semplicemente rievocato l’apporto che quei cittadini bolognesi diedero 75 anni fa alla Resistenza e alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo…ci ha reso tutti protagonisti di queste elezioni. Ovunque.

Il meccanismo è partito. Ed ecco, inevitabilmente, i primi tentativi volti ad incepparlo: bloccare i social network, che fungono da megafono e da collettore, e delegittimare i singoli promotori. Questo secondo tentativo impone una riflessione.

Ma davvero rispetto ai nostri bisogni concreti può influire il fatto che Mattia Santori cinque anni fa ha pubblicato un articolo sulle trivellazioni, frutto di una sua ricerca, che noi oggi non condividiamo? Ma davvero può influire il percorso professionale mio, o di una qualsiasi delle 12.000,00 persone scese in piazza, rispetto ad una idea di mondo che oggi vede messa in discussione l’attenzione verso l’altro? Cosa rileva alla fine? La tessera Anpi che ho in tasca io, oppure il fatto che insieme ad altri – che quella tessera non hanno – possiamo impedire che l’Emilia Romagna passi sotto la formattazione della Lega? È notizia di oggi che la giunta leghista forlivese ha bloccato un progetto già finanziato sul tema delle discriminazioni sessuali, perché loro: “aderiscono ad un modello di famiglia tradizionale”.

Ma di cosa diamine vogliamo parlare nei prossimi mesi? Del fatto che Santori sia “pro Triv” o “no Triv” o del fatto che ha portato in piazza tante persone che hanno iniziato a parlarsi tra loro, guardandosi negli occhi, riconoscendosi, pur nelle diversità, come un popolo di pacifisti, in ascolto rispetto alle diversità, sull’attenti rispetto alla tutela dell’ambiente, stanco di ogni forma di odio e violenza?

Cosa vogliamo fare a questo punto? Astenerci ancora dal votare come nel 2014? Non votare perché Bonaccini è un narcisista? O perché il Pd ha dimenticato le sue radici? O perché del PCI non hanno nemmeno un’unghia?

Cosa vogliamo fare? Vogliamo lasciare che questo vuoto lasciato a sinistra sia riempito dal virus della paura nei confronti dell’“altro”? che sia riempito da quelli che filmano i campanelli delle case popolari, per lanciare il falso messaggio che gli italiani vengono lasciati indietro rispetto agli stranieri? Vogliamo davvero lasciare che spazzino via in un sol colpo virtuosi progetti di inclusione, per il semplice esercizio del potere? Vogliamo davvero che un sistema efficiente, ancorché migliorabile, venga disfatto da conducenti di ruspe, senza patente ed orbi? Volgiamo davvero lasciare avvelenare questo momento di confronto da insinuazioni su questo o quel promotore delle “sardine” e lasciar spegnere la vitale forza che la gente ha dimostrato di avere?

Bonaccini sarà sostenuto da tante forze. Credo che, bene o male, il panorama culturale e socio-politico non sia sprovvisto di rappresentanza. Noi “orfani” della sinistra non abbiamo scuse. Non stavolta. Buttiamola via questa bussola della diffidenza che inquina le nostre idee e ci fa perdere la lucidità.

E, allora, non lasciamoli soli questi politici (ometto ogni aggettivo qualificativo!), critichiamoli pure, ma non lasciamoli soli, perché sulla nostra (della sinistra) capacità di autodistruzione fanno leva gli altri, quelli capaci di unirsi attorno all’ideale della “Patria da difendere”, che tanto fa presa sui disperati che abitano le periferie dei nostri tempi, nelle quali la storia ha smesso di fare da maestra.

Recuperiamo la bussola della storia. È per questo che prendo in prestito le parole di Alcide Cervi, unica bussola di valori capace di guidarci in questo nostro tempo: “Mi hanno sempre detto… tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta… la figura è bella e qualche volta piango… ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l’ideale nella testa dell’uomo”.

Hilde Petrocelli