Ospedale San Carlo. Le liste di attesa e il re di Prussia

C’è da chiedersi per quale motivo un cittadino dovrebbe fidarsi dei medici del San Carlo se neanche il direttore generale gli riconosce la buona fede?

L’intramoenia sembra usata da Barresi come una clava contro i medici ritenuti responsabili delle sempre più gonfie liste di attesa. Liste che per i medici sono la conseguenza invece di una cultura sanitaria sbagliata e di una pessima organizzazione e tutela delle risorse umane.

Il ragionamento che fa il direttore generale dell’Aor San Carlo, che appare come un processo alle intenzioni dei medici, è molto semplice: i camici bianchi contribuiscono a creare lunghe liste di attesa per attrarre clienti in intramoenia e percepire così il loro compenso extra. E allora che si fa? Blocco l’intramoenia finché non si riducono le liste di attesa, obiettivo affidato ai medici. “Se l’obiettivo non è raggiunto io non ti faccio lavorare, oltre l’orario contrattuale, nella mi struttura.” Il risultato è la violazione del diritto di esercitare la professione medica, previsto per legge; un danno economico e professionale ai medici, e alla struttura sanitaria che non percepisce la percentuale devoluta dal professionista per le prestazioni in intramoenia; e nessuna riduzione delle liste di attesa. Il cittadino, non potendo più scegliere il medico con l’intramoenia non può fare altro che mettersi in attesa nelle liste ordinarie, che diventano così sempre più lunghe, oppure rivolgersi a medici che svolgono l’attività privata fuori dalla struttura ospedaliera, con costi triplicati.

Se il ragionamento di Barresi fosse quello di attribuire ai medici la responsabilità delle liste di attesa, in quanto “disonesti”, c’è da chiedersi per quale motivo un cittadino dovrebbe fidarsi dei medici del San Carlo se neanche il direttore generale gli riconosce la buona fede?

E veniamo all’ordinanza del giudice del lavoro, in seguito al ricorso, con procedura d’urgenza, di un gruppo di medici dell’unità operativa di Ostetricia e ginecologia, contro il provvedimento di sospensione dell’attività intramoenia firmato dal direttore generale l’estate scorsa. I medici non chiedevano altro che la tutela del loro sacrosanto diritto all’esercizio della professione intramoenia. E su questo sacrosanto diritto il giudice del lavoro non ha speso una parola, ha semplicemente detto: procedete con una causa ordinaria. I contenuti dell’ordinanza appaiono generici e adoperabili per tutte le occasioni. Sostanzialmente si dice, anche: cari medici non dovete fare ricorso alle procedure d’urgenza perché in tal caso non avrete fortuna. Il giudice del lavoro ha dato torto ai medici, condannandoli alle spese. Qui l’ordinanza

È vero che le sentenze non si discutono ma i giudici sì, il loro comportamento si può discutere. Ebbene, quell’ordinanza lascia spazio a molte perplessità.

Torniamo al punto. Il quadro generale che emerge da tutta la faccenda è che i dirigenti dell’azienda ospedaliera provano ad attribuire, ai medici, responsabilità che sono di loro esclusiva pertinenza. Se esistono lunghe liste d’attesa è perché esistono problemi più complessi legati a molteplici variabili critiche. La responsabilità, in questi casi, è soprattutto di chi dirige l’azienda. Il ricorso a capri espiatori, costruiti su congetture e pregiudizi, non risolve i problemi ma li crea.  E questa dirigenza non sembra abbia dimostrato fino ad oggi di avere cognizione di cosa significhi attività medica. E, dati i risultati, sembra che non abbiano alcuna contezza di che cosa voglia dire gestire un’azienda complessa. Ma una cosa la sa fare bene: lavorare per il re di Prussia, anche se in questo caso non si capisce bene chi sia il re.