Green new deal e agricoltura biologica, De Bonis: “Ripensare alla distribuzione dei fondi diretti”

Il senatore del Gruppo misto ha presentato un'interpellanza

L’Italia deve cominciare a pensare seriamente, con proposte concrete, a nuove modalità per garantire un futuro alla sua agricoltura e all’ambiente. In vista di una futura riduzione del budget per la Politica agricola comune (circa 40 miliardi di euro) e alla pesante crisi che investe il mondo agricolo e i comuni rurali, non è possibile adagiarsi sui vecchi meccanismi. Al riguardo ho interpellato il presidente Conte e i ministri Bellanova e Amendola, per sapere quali misure intendano adottare finalizzate ad attutire la riduzione delle risorse comunitarie, rendendo più efficiente il loro impiego. È ormai noto che le Regioni non riescono ad utilizzare, in maniera efficiente, i fondi destinati allo sviluppo rurale anche a causa del cofinanziamento.

Fondi che sono disimpegnati e impropriamente utilizzati per diminuire la contribuzione dell’Italia all’Ue a spese degli agricoltori. Alla luce di quanto avvenuto in Puglia, che sarebbe nel mirino dell’antifrode europea a causa di una non corretta gestione dei bandi PSR, ho delineato la mia proposta che prevede la rinegoziazione in sede europea per favorire il trasferimento diretto dal secondo al primo pilastro, contrariamente a quanto deciso dalla Commissione Europea.

La mia proposta di rimodulazione prevede per l’Italia il trasferimento al primo pilastro di 2/3 dei fondi PSR non spesi, quantificabili nel prossimo settennio in circa 7 miliardi, necessario a favorire i territori rurali destinatari dei fondi europei, e in particolare chi fa una agricoltura biologica, salubre e rispettosa dell’ambiente e non fondata su pesticidi, Ogm e NBT. Ciò permetterebbe al settore di tornare ad essere volano di sviluppo rurale del Mezzogiorno, diventando così uno dei punti di forza del Green New Deal, cui anche il nostro governo si è detto favorevole. 

In sintesi, continuando con le attuali modalità di ripartizione, l’agricoltura del Mezzogiorno, con i fondi non utilizzati dalle regioni, contribuisce al pagamento delle tasse del Nord per un importo pari a un miliardo annuo”.

La proposta della Commissione europea per la PAC 2021-2027 prevede uno stanziamento di 365 miliardi di euro a prezzi correnti: una dotazione che corrisponde a circa il 28,5% del bilancio complessivo dell’UE nello stesso periodo di tempo”. Nel precedente quadro finanziario (2014-2020) la spesa PAC a prezzi correnti è stata di 408,31 miliardi di euro (37,6% del bilancio complessivo). Dell’importo totale, “286,2 miliardi di euro sono destinati al Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), il primo pilastro della PAC, che finanzia i pagamenti diretti agli agricoltori e le misure di mercato, senza necessità di cofinanziamento. 78,8 miliardi sono invece destinati al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il secondo pilastro, che finanzia lo sviluppo rurale in regime di cofinanziamento”. Le ripercussioni per la nostra agricoltura nazionale sarebbero notevoli: “In base alla proposta, l’Italia avrebbe una dotazione complessiva di circa 36,3 miliardi di euro a prezzi correnti (24,9 miliardi di euro per i pagamenti diretti, circa 2,5 miliardi per le misure di mercato e circa 8,9 miliardi per lo sviluppo rurale)”, con una riduzione rispetto agli stanziamenti precedenti di circa 5,2 miliardi di euro.   

Questi alcuni punti fondamentali dai quali parte l’interpellanza al Senato: tra gli obiettivi specifici della PAC, contenuti nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), all’articolo 39, comma 1, lett. b), vi è quello di “assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie in particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano nell’agricoltura”; la proposta della Commissione invece “prevede che gli stanziamenti dei due pilastri possano essere trasferiti dall’uno all’altro fino a un massimo del 15% + 15%”; “le Regioni italiane hanno più volte dimostrato scarsa efficienza nella spesa dei fondi destinati ai programmi di sviluppo sociale”; anche i fondi di coesione non spesi non tornano all’UE ma si traducono in minore contribuzione per gli italiani verso l’Europa; la capacità di assorbimento delle risorse europee da parte dell’Italia, a fine 2019, “si è fermata al 28,53%, uno tra i dati più bassi dell’intera Unione”. Nel caso specifico della Puglia, poi, “pare che il programma sviluppo rurale Puglia, a seguito di bandi affetti da errori macroscopici che avrebbero falsato la graduatoria favorendo di fatto le soccide, sia nel mirino dell’antifrode europea”. Savero De Bonis, senatore Gruppo Misto