Coronavirus, crisi economica e fallimento delle politiche europee

Che cosa non ha funzionato il Europa. Analisi e soluzioni

Perché è importante capire cosa non ha funzionato in Europa

A pagina 71 del libro si scrive: “In altre parole, la tempistica delle politiche fiscali è questione complicata; come diceva Milton Friedman, ci sono ritardi lunghi e variabili tra il momento in cui si decide una politica, la sua attuazione e il prodursi dei suoi effetti.”

Troppo comodo. Passa il tempo, cambiano le variabili in gioco, cambia la congiuntura e il ciclo economico e la verifica, almeno empirica di quanto teorizzato, non mai è possibile perché non si riescono mai ad isolare i rapporti causa effetto. Capisco che l’economia sia una scienza sociale e di conseguenza che i rigori del metodo scientifico siano inapplicabili ma, insomma! quando è troppo è troppo. L’economia da scienza sociale, e quindi fallace, non può tramutarsi in Fede. D’altro canto, in tutto il libro, ci sono un insieme di affermazioni apodittiche e non dimostrabili. Un esempio a pagina 67. “… i consumi privati possono agire immediatamente all’annuncio di un taglio sistematico della spesa pubblica, come ci hanno insegnato Milton Friedman e Franco Modigliani settanta anni fa”. Appunto, settanta anni fa. Quello che è successo, almeno in Italia, è che all’annuncio della drastica e repentina riforma c.d. Fornero i consumatori hanno smesso di consumare con conseguenze sul PIL. Altro che spendere di più perché si aspettavano in futuro minor pagamento di imposte, come recita il libro.

Prendiamo la Grecia dove c’è stato un piano di austerità di magnitudine enorme intorno al 20% del PIL (fatto per il 59% di tagli alle spese e per il 41% di maggiori imposte). Dal 2016 fino al 2018 c’è un avanzo positivo sul PIL di poco superiore, come media del periodo, allo 0,7%. Io credo che qualcuno, specialmente l’Europa e la Troika, dovrebbe dire tra quanto tempo la Grecia uscirà dal tunnel. Stando ai dati, ipotizzando che nulla di negativo appaia all’orizzonte, ci vorranno dai 70 ai 140 anni per tornare, con questi surplus, al rapporto Debito / Pil di prima della crisi e, soprattutto, dell’intervento della Troika. Nel frattempo Germania, Lussemburgo e Olanda crescono nel triennio in un range cha va dall’1 al 3%, mentre Francia, Spagna e Italia mostrano un deficit corrente negativo stabilmente intorno al -3%. Il divario con la Germania diventa baratro!

Gli stessi autori approcciano infatti la questione greca con le pinze e costretti perché ometterla sarebbe stato peggio. Occorre, infatti, attendere pagina 235 per leggere il paragrafo “La tragedia greca”. Si ammette che tutti sapevano che i piani imposti dalla Troika non avrebbero funzionato, e allora perché imporre la tragedia? ma quello che suona stupefacente è che neanche in questo paragrafo si evidenzino i costi sociali della politica imposta alla Grecia e che sono stati immani.

Milton Friedman, citato in continuazione, teorizzava: “Gli affari hanno una e sola responsabilità sociale, quella di utilizzare le proprie risorse e svolgere attività destinate ad aumentare i profitti.”

Gli autori insistono in questa visione antistorica che ha prodotto l’inquinamento globale, la crescita delle disuguaglianze e la precipitazione dei rapporti sociali verso un nuovo Medioevo. A nulla servono i richiami dell’ONU agli investimenti socialmente responsabili e alle procedure di engagement verso chi non li fa.

Quello che è successo nella gestione della crisi greca è stato il trasferimento del principio di irresponsabilità sociale dalla impresa allo Stato e alle politiche economiche relative.  Stupisce che in tutto il paragrafo, e in tutto il libro, non si sottolineino con la necessaria forza i costi sociali e i tanti morti, per suicidi e mancanze di cure sanitarie e indigenza estrema, causati degli errori della Troika. Si ragiona come se il problema non riguardasse la sfera delle economie nazionali, oltre che delle coscienze dei governanti e dei loro consulenti. Regling, a capo del MES, in occasione della crisi greca consigliò il governo greco di non pagare le pensioni pur di pagare la rata del prestito al FMI. Di recente ha affermato di volere Spagna e Italia in ginocchio, anche se poi l’affermazione è stata smentita dal suo ufficio stampa e visti i precedenti non so con quanta credibilità. Ma come si può chiedere all’Italia di firmare il MES se a capo di questo organismo continua ad esserci questo signore? Come si fa a non chiedersi come sia possibile che, come affermato dal solito Regling poco tempo fa, il debito attuale dell’Italia a quasi il 140% sia sostenibile quando nel 2010 il debito della stessa Italia, intorno al 102%, e della Grecia, intorno al 109%, ha determinato il putiferio del governo Monti e della Troika? Regling non può pensare di fare come il lupo della favola perché noi non siamo Cappuccetto Rosso e fare all’Italia quello che ha fatto lui e la Troika alla Grecia aggrava la crisi dell’Europa e determina un nuovo inizio di ostilità e diffidenza reciproca tra i popoli europei.

A mio modo di vedere gli autori del libro hanno perso una occasione per condannare con parole dure l’atteggiamento dei governi europei e dell’Eurogruppo. Il sogno europeo in molti è già defunto e forse, grazie al coronavirus, si inizia a comprendere che l’Eurogruppo a trazione tedesca rischia di diventare il becchino dell’Euro e dell’Europa. Vedremo se i tedeschi vorranno assumersi l’onere di quest’altra tragedia europea, dopo quelle che hanno causato nel secolo scorso e pochi anni fa in Grecia. Una cosa è l’austerità un’altra cosa è la distruzione e l’assoggettamento dei popoli.