Emergenza Covid 19. Cgil: Management regionale del tutto inadeguato

"Chiediamo misure omogenee in tutte aziende ospedaliere del territorio" e istituzione immediata del comitato regionale come previsto dal protocollo del 24 marzo

Il nostro sistema sanitario regionale reggerà a questa travolgente emergenza? È la domanda che la comunità lucana si pone in queste ore nelle quali si percepisce, in modo ancor più netto, l’incertezza che regna sovrana nella gestione di questa inedita emergenza sanitaria.
Ci siamo fatti cogliere impreparati dallo tsunami del Covid 19 ben sapendo che sarebbe arrivato anche qui. Siamo partiti da un punto di vantaggio rappresentato dal fattore temporale non mettendolo a valore e non attrezzando e riorganizzando il nostro sistema regionale. Sono venuti a galla in modo prorompente tutti i limiti di un riordino che, invece di tracciare la giusta connessione tra ospedale e territorio e che rendere gli ospedali sul territorio funzionali e adeguati ai bisogni delle comunità, ha determinato un vero e proprio corto circuito nell’emergenza sanitaria nella quale manca del tutto una chiara e definita riprogrammazione sanitaria. Oltre alla mancanza di una rete integrata, emerge una completa sconnessione con il territorio dettata da un management che si sta rivelando del tutto inadeguato alla gestione dell’emergenza.
Ci troviamo ancora in mezzo al guado, con una comunicazione a spot, che si trasforma in vera e propria disinformazione, dalla quale un giorno apprendiamo che si è scelto l’ospedale di Venosa quale ospedale Covid 19, un altro giorno che sono stati trasferiti i ventilatori dall’ospedale di Pescopagano al San Carlo, per arrivare alla notizia data in pompa magna della istituzione delle unità speciali Covid 19, previste già nel primo decreto legge risalente al 9 marzo. Finalmente la Regione, dopo aver bistrattato medici di medicina generale e di continuità assistenziale, si accorge di quanto possano essere importanti per il controllo e il contenimento del contagio sul territorio. Cosa che hanno responsabilmente fatto sin dall’inizio di questa epidemia nella quale continuano ad essere impegnati in prima linea, ancora privi di adeguati e in numero sufficiente di dispositivi di protezione individuale. Carenza che investe tutti gli operatori sanitari e quanti a vario titolo operano nelle aziende sanitarie e ospedaliere regionali.
Capitolo a sé quello dei tamponi: è inaccettabile che a distanza di oltre una settimana vi siano operatori che non ne conoscono l’esito; questi lavoratori e lavoratrici vengano lasciati nell’ansia e nell’ incertezza, per di più in molti casi continuando a lavorare e soprattutto rischiando di trasformarsi in un pericolosissimo veicolo di infezione per i colleghi, gli utenti e i propri familiari. Salvo poi affidare ad un blindato comunicato fatto di scarni numeri, talora anche sbagliati, l’andamento complessivo dei tamponi fatti e di quelli processati. Ed è altrettanto inaccettabile che i tamponi non vengano estesi a tutti coloro che operano all’interno delle strutture ospedaliere e socio sanitarie pubbliche e private, sia come dipendenti diretti sia come dipendenti delle ditte che svolgono attività esternalizzate.
Per non parlare di quello che sta avvenendo nei servizi socio sanitari e socio assistenziali, dove l’inadeguatezza e la disomogeneità dei dpi mette seriamente a rischio la tutela della salute di operatori e utenti, come il caso della Don Gnocchi di Tricarico purtroppo ha dimostrato. Ci risulta che in alcuni casi gli operatori siano costretti ad indossare mascherine usa e getta per più giorni consecutivi. E su questo chiediamo con forza alle aziende sanitarie e ai sindaci dei comuni dove hanno sede strutture residenziali sanitarie e socio assistenziali, convenzionate o private, di effettuare da subito controlli e monitoraggi sull’effettivo rispetto di tutte le misure di sicurezza atte a prevenire il contagio da covid19.
Il protocollo sottoscritto lo scorso 24 marzo con il ministro della Salute, Speranza, che costituisce la naturale integrazione del testo siglato il 14 marzo tra CGIL CISL e UIL, fissa alcuni punti imprescindibili per garantire l’effettiva sicurezza di tutto il personale esposto: primo fra tutti che debba essere sottoposto a tampone e che sia dotato di dpi anche di livello superiore rispetto a quello previsto dagli organismi tecnico-scientifici e la definizione dei percorsi di sorveglianza a cui devono essere sottoposti tutti i lavoratori venuti in contatto con pazienti positivi al Covid 19. Ma il protocollo prevede anche un importante ed ulteriore strumento di governo dell’emergenza attraverso la costituzione di un comitato regionale con la partecipazione delle organizzazioni sindacali che, in assenza totale di un confronto con la task force regionale, potrà essere molto utile come strumento di informazione trasparente e luogo di proposte e di confronto. Per questo ne chiediamo l’attivazione immediata.
Bisogna fare chiarezza, è necessario adottare misure omogenee in tutte le aziende sanitarie ed ospedaliere del territorio, bisogna garantire attraverso direttive e controllo che le medesime misure siano adottate in tutte le strutture sanitarie e socio sanitarie presenti in regione rispetto alle quali non c’è al momento un quadro completo della situazione a causa dell’estrema frammentarietà di questi servizi. Non possiamo lasciare a loro stessi operatori ed utenti. Chiediamo chiarezza sulle prestazioni socio sanitarie e socio assistenziali attualmente sospese e soprattutto sollecitiamo l’adozione di atti di indirizzo che consentano l’individuazione di quei servizi anche di assistenza domiciliare che, garantendo la tutela degli operatori e degli utenti, possano essere riattivati adottando specifici protocolli. Alla solitudine non può aggiungersi l’abbandono.
Dobbiamo avere cura per tutte le lavoratrici e i lavoratori che, in condizioni a volte drammatiche e con professionalità e spirito di abnegazione, svolgono funzioni essenziali per la nostra collettività.

Per la segreteria CGIL Basilicata
Giuliana Pia Scarano