Acque minerali Basilicata. Aumento canoni rischia di mettere in ginocchio il settore

Sulla questione, passata un po' in sordina per l'emergenza coronavirus, intervengono le segreterie regionali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil

L’articolo 6 della legge regionale n. 10 del 20 marzo 2020 (cosiddetta legge di stabilità) interviene sul prezzo del canone delle concessioni di acque minerali incrementando le royalties «non solo sull’imbottigliato ma anche sull’acqua emunta». Sulla questione, passata un po’ in sordina per l’emergenza coronavirus, intervengono le segreterie regionali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil secondo cui «la nuova normativa rischia di mettere in ginocchio un settore già fortemente provato da tasse e balzelli».

Per le tre sigle sindacali «non è corretto applicare alle acque minerali la stessa logica utilizzata per l’estrazione degli idrocarburi. Quello delle acque imbottigliate – specificano – non è un mercato ad alto valore aggiunto, sia pur profittevole in tempi di normalità per quelle aziende che hanno mercato, capacità manageriale e una gestione corretta dell’organizzazione. In questa fase il raddoppio delle royalties rischia di far affondare l’intero settore delle acque minerali che in Basilicata dà lavoro a 400 addetti diretti più l’indotto. La chiusura di bar e ristoranti e la più generale crisi del settore horeca ha già determinato notevoli perdite di fatturato, con punte del 40 per cento».

Per i sindacati è paradossale che «mentre il governo nazionale decide di rimandare una tassa sbagliata come la plastic tax e l’intera filiera agroindustriale è impegnata in uno sforzo importante per assicurare l’approvvigionamento di beni di prima necessità, la Regione Basilicata decida di approvare nella distrazione generale una norma poco ponderata e non suffragata da un’analisi comparata della profittabilità del settore e che rischia di determinare ricadute negative anche sui posti di lavoro. È così che si intende rilanciare l’economia e l’occupazione?», si chiedono Fai, Flai e Uila. Le tre sigle sindacali lanciano un appello alla politica regionale per «sospendere gli effetti della norma contenuta nella legge di stabilità regionale e successivamente rivederla con dati alla mano. Al contrario – concludono i sindacati – si rischierebbe di infliggere ad un settore già in difficoltà per l’epidemia un duro colpo».

Sono tre le grandi aziende del settore che imbottigliano acqua minerale in Basilicata. Il gruppo Acque Minerali d’Italia – che detiene machi importanti come Sangemini – opera nell’area del Vulture in due stabilimenti: Gaudianello ed ex Toka. Il gruppo versa da tempo in una crisi di liquidità e il mese scorso ha presentato concordato preventivo in bianco. In Basilicata il gruppo ha investito 30 milioni di euro per l’aggiornamento delle linee produttive, segno che il ramo lucano gode di buona salute, tanto è vero che altre aziende di riferimento si erano fatte avanti prima dello scoppio dell’epidemia manifestando l’intenzione di acquistare gli stabilimenti. Purtroppo, sia la crisi sanitaria, sia l’entrata in vigore della nuova legge regionale hanno raffreddato l’interesse dei compratori. Opera in Basilicata anche la multinazionale Coca Cola Hbc che ha rilevato lo stabilimento ex Traficante e opera sul mercato con i marchi lucani Lilia e Sveva. L’ultima arrivata in regione dei grandi gruppi internazionali è la San Benedetto che ha due stabilimenti: uno realizzato ex novo a Viggianello (Fonti del Pollino) e lo storico stabilimento Cutolo rilevato qualche anno fa a Rionero. Al momento in tutte e tre le aziende si sta utilizzando la cassa integrazione per effetto del calo della domanda del ramo horeca.