Memorie di un’anima: monologo struggente sul senso della vita

Il romanzo di Danilo Mallò racconta con garbo, e coraggio, la storia di un uomo divorato dalla SLA

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Non è facile guardare negli occhi la malattia e decidere di raccontarla in un libro. Il rischio infatti è quello di mettere troppo zucchero sulle parole o, peggio, di rifugiarsi dietro la tenda della retorica. Non è per fortuna il caso di Memorie di un’anima di Danilo Mallò, edito da La Zattera (126 pp., 16 euro), romanzo struggente, e coraggioso, che racconta il dramma di un uomo nel fiore degli anni divorato dalla SLA. A dire il vero a farlo è la sua anima, che, una volta tornata nei luoghi in cui era stata carne, prova a guardarsi da lontano e a giudicare ciò che vede, e ricorda, con la lente matura del distacco.

Il proiettore di Mallò fa scorrere lentamente le immagini della sua creatura (e della sua vita di prima), alla quale il dolore degli ultimi anni, trascorsi in un letto, ha strappato la felicità e qualche certezza apparentemente inossidabile. Il suo unico passatempo, ottenuto al temine di un lungo e doloroso percorso di crescista interiore, è la possibilità di osservare dalla finestra della sua stanza, e senza essere visto, ciò che accade nel palazzo di fronte. Ben presto quello che era sempre stato un alveare apparentemente anonimo si rivela un laboratorio di storie di cui è impossibile fare a meno.

Due i binari dell’intreccio, spesso intersecantisi tra loro: da un lato lo strazio della malattia, affrontato con grande dignità grazie a una scrittura che non si perde in fronzoli ma sa essere rigorosa dal punto di vista scientifico; dall’altro la vita del mondo di fuori, che si materializza nei volti appena accennati – ma non per questo privi di umanità – degli inquilini del palazzo, trasformato da chi lo percorre con gli occhi in un vivacissimo osservatorio sui vizi e sulle virtù di ogni giorno. Annotare impressioni e suggestioni diventa per il protagonista del romanzo un rito imprescindibile che lo tiene tenacemente aggrappato alla sua quotidianità, mortificata da sofferenze e frustrazioni. Il continuo rimescolamento di emozioni all’interno del suo taccuino interiore fornisce il materiale grezzo del racconto, che fonde molto bene azione e introspezione. Sarà la sua (futura) anima migrante a sistematizzarlo, in una dimensione sconosciuta alle ansie terrene dei mortali. Ne vien fuori uno struggente monologo sul senso della vita, che per certi versi è una versione in piccolo delle Memorie di Adriano di Margherite Yourcenar.

Unica pecca, tutto sommato perdonabile, è il finale, forse un po’ debole, che però non guasta la visione d’insieme. Il pregio del romanzo di Mallò sta infatti nella forza delle sue argomentazioni e nello spessore letterario che le condisce. Forse è il caso, viene da pensare dopo aver girato l’ultima pagina, di provare a guardarsi con gli occhi del cuore. Anche da vivi.

Mallò

 

 

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