Siamo tutti nella stessa tempesta ma la barca non è la stessa per tutti

"Venosa Pensa" su regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari

In questi giorni abbiamo ripetuto spesso che in questo momento di grave crisi mondiale “siamo tutti sulla stessa barca”. Bella metafora, peccato che nella realtà non sia proprio così. Come è stato espresso altrettanto efficacemente da qualcuno, la verità è che siamo tutti nella stessa tempesta ma la barca non è la stessa per tutti. Anche in questa crisi purtroppo ci sono persone che sono ai margini, dimenticate, abbandonate e che vivono questo momento emergenziale sicuramente peggio di altre. 

Negli ultimi giorni sono emersi tanti problemi che abbiamo ignorato per settimane. Uno di questi problemi riguarda la situazione dei lavoratori extracomunitari presenti sul nostro territorio e privi di un regolare permesso di soggiorno. Nonostante gli appelli lanciati dai sindacati e dalle associazioni che operano in prima linea, ad oggi, non si è  ancora arrivati ad una soluzione concreta. Parliamo di persone che vivono in una situazione di limbo e che hanno bisogno di vedere chiarita la loro posizione per poter lavorare, ottenere aiuti, essere assistiti e curati. Si tratta di una situazione che va chiarita perchè non serve al nostro Paese avere delle zone grigie che possono creare tensioni sociali, problemi economici o sanitari. Regolarizzare queste persone significa assicurare maggiore protezione alla nostra comunità e garantire loro lo status di essere umani. 

E’ stato detto da più parti che la nostra agricoltura ha bisogno di braccianti ma questi braccianti al momento vivono situazioni di abbandono, di dimenticanza totale. Alcuni di loro sono privi di permesso di soggiorno, altri sono invece in attesa di rinnovo, alcuni hanno procedimenti pendenti dinanzi ai Tribunali italiani sempre per il riconoscimento o il rinnovo di un titolo per restare in Italia, moltissimi vivono in situazioni di disagio e non hanno alcun tipo di assistenza. 

Rispetto a questa situazione inaccettabile chiediamo un intervento immediato da parte dello Stato italiano.  Un intervento che non sia temporaneo ma definitivo, un intervento che non sia mosso solo dal bisogno di garantire forza lavoro nelle campagne, un intervento che sia ispirtato da principi di pari dignità di tutti gli esseri umani e da vera solidarietà (la stessa che invochiamo in queste ore da parte dei Paesi europei nei nostri confronti). Servono misure rapide per garantire  a tutti di vivere e lavorare in sicurezza, anche ai tanti lavoratori stagionali che saranno impegnati nei campi di lavorare in sicurezza e di essere controllati dal punto di vista sanitario per evitare possibili nuovi focolai. Occorre allora innanzitutto dare attuazione agli strumenti normativi già presenti nel nostro ordinamento, dare cioè piena attuazione alla c.d. legge contro il caporalato che prevede alcuni strumenti utili per i lavoratori. Ma questo non basta. Occorre maggior coraggio. Non avere il timore di mettere in campo l’unica azione in grado di far uscire dall’ombra chi oggi è invisibile per lo Stato. Regolarizzare chi oggi si trova nel nostro Paese serve a garantire non solo chi oggi è fuori da ogni controllo e, quindi, da ogni aiuto, ma anche noi tutti. Si potrebbe partire dai soggetti che sono in attesa di un permesso di soggiorno e che non hanno ancora potuto ottenerlo semplicemente per la burocrazia che blocca questo Paese. Un primo passo in attesa di compiere altri interventi che vadano nella direzione di includere e non di escludere chi oggi è invisibile, debole, abbandonato. 

Ai tempi del coronavirus è ancor più necessario e urgente un intervento di questo tipo per ragioni anche di carattere sanitario e di tutela della collettività. Il migrante irregolare presente sul nostro territorio infatti non è ovviamente iscritto al serizio sanitario nazionale e di conseguenza non ha diritto ad un medico di basema può ricorrere solo a prestazioni sanitarie urgenti. Ne discende che un migrante senza permesso di soggiorno non si rivolge certo alle strutture sanitarie in caso di tosse e febbre (proprio i primi sintomi del coronavirus). Ma anche qualora dovesse avere dei sintomi più gravi, il migrante senza permesso di soggiorno dovrebbe rivolgersi direttamente al pronto soccorso e, quindi, non rispettare i normali protocolli previsti per combattere questa pandemia. 

A quanto già detto, va aggiunto che il migrante sprovvisto di permesso di soggiorno tende a non rivolgersi proprio alle strutture sanitarie per paura di essere poi sottoposto a controllo e “deportatato” in un centro destinato alle espulsioni. Ecco allora che la presenza di persone che vivono queste situazioni reali può rappresentare un serio pericolo per tutti e, quindi, immaginare una regolarizzazione vuol dire innanzitutto applicare il buon senso e mettere in sicurezza la salute pubblica di tutti quanti noi. Diversamente, continuare a permettere che vi siano soggetti abbandonati nel nostro Paese è un atto crudele e pericoloso che non non ci fa onore. 

Chi, come noi, vive in una terra dove la presenza di migranti è costante e conosce le grandi difficoltà che queste persone sono chiamate ad affrontare ogni giorno, non può rimanere indifferente di fronte a questa situazione. Chi conosce quanto sia importante la loro presenza anche per garantire la produzione agricola, non può non considerare la necessità di un internvento risolutivo. Chi ha a cuore la vita di ogni essere umano, non può dimenticare in questo momento di difficoltà chi è abbandonato a se stesso. 

“Se stiamo davvero attraversando un’emergenza sanitaria, se davvero hanno un senso tutte le misure straordinarie fino ad oggi adottae e che incidono così in profondità sulla vita di tutte e di tutti”, allora è giusto mettere in campo azioni coraggiose per mettere tutti in sicurezza e salvare la vita anche di chi oggi non esiste per il nostro Stato.

Associazione Venosa Pensa