Ai lucani il mondo sta stretto

Una riflessione in occasione della giornata dedicata ai nostri corregionali che vivono all'estero

Mi sono svegliato pensando a Vado verso dove vengo, il documentario diretto dal giovane regista di talento Nicola Ragone. Un racconto assai fedele – purtroppo – del fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi lucani. Quello che il paesologo Franco Arminio definirebbe un “viaggio commosso nella Lucania interna” dove la desolazione di alcuni luoghi dimenticati si contrappone alla speranza di un nuovo futuro per le aree interne della Basilicata che così tanto hanno da offrire alle nuove generazioni.

Nel libro Civiltà Appennino di Giuseppe Lupo e Raffaele Nigro, viene descritta in maniera impeccabile la dorsale verticale italiana, quella dell’Appennino, una traiettoria meridiana che, nell’agenda della Fondazione Appennino diretta da Piero Lacorazza, ha proprio l’obiettivo di consolidare un’immagine già vivissima, quella delle civiltà che in ogni parte d’Italia tendono a “riconoscersi” nella vita d’Appennino che così tanto riguarda i lucani, specialmente quelli emigrati.

Riconoscersi. È quello che i lucani in giro per il mondo hanno orgogliosamente fatto in questi ultimi anni mentre le immagini di Matera scorrevano in mondovisione: “la Capitale Europea della Cultura per il 2019!”. Riconoscersi in un presepe a New York, in un volo, in un paesaggio calcareo o lunare, in una spiga di grano o in un campo di ulivi, in una poesia o in una canzone. Riconoscersi nel duro lavoro di chi è rimasto, nei ricordi che riaffiorano grazie ai profumi colti per strada. Riconoscersi soprattutto nelle difficoltà, nella lontananza, nel dolore di dover lasciare tanto, forse tutto.

È per questo che credo sia doveroso dedicare attenzione a questa giornata. Perché riconoscersi possa essere solo il primo atto di un nuovo processo virtuoso che riporti in Basilicata i suoi frutti migliori che oggi “nessuno vede perché vivono nell’ombra”.

Il Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Giuseppe Provenzano, coniò brillantemente il Diritto a Restare e, attraverso il nuovo respiro che ha infuso nella Strategia Nazionale per le Aree interne, è riuscito a restituire un impulso decisivo ed una centralità politica e comunicativa al tema del ripopolamento e dello sviluppo di quelle aree. Tornare ad essere attrattivi e non solo attraenti.

Eugenio Marino – che di italiani nel mondo se ne intende – intervenendo nel dibattito del Centro Studi Lucani nel Mondo diretto da Luigi Scaglione, ha spiegato come la coesione territoriale non si esaurisce fra le venti regioni italiane ma riguarda anche i cittadini che vivono oltre i confini regionali e, nello specifico, quanto è decisivo il ruolo dei lucani che da lontano provano a contribuire nel rendere grande la Basilicata.

E se per noi lucani il Mondo fosse troppo stretto? Mi viene in mente la storia di Rocco Petrone, l’ingegnere italoamericano che ha portato la Basilicata sulla Luna. Figlio lontano di Sasso di Castalda e di quell’Appennino lucano sopracitato, la mattina studiava e il pomeriggio si arrangiava vendendo ghiaccio per raccogliere qualche soldo fino a diventare il direttore del Programma Apollo. “L’ingegnere figlio di immigrati stava diventando un ingranaggio insostituibile nel sistema che per i successivi 20 anni avrebbe rappresentato l’asse portante della sfida tecnologica americana” come splendidamente scritto da Renato Cantore.

La Basilicata, quel “giardino segreto” nell’Italia interna, aspetta di rifiorire e non rinuncia a cullare i suoi figli sparsi nel mondo con canti che oltrepassano ogni confine fisico.

Chi più di tutti seppe descrivere i lucani nel mondo fu Leonardo Sinisgalli. Mi piace concludere con un passaggio del suo verso più celebre, “Gente della Lucania”:

“Lucano si nasce e si resta. 

Gli emigranti che tornano dalla Colombia o dal Brasile, dall’Argentina o dall’Australia, dal Venezuela o dagli Stati Uniti, dopo quaranta anni di assenza, non raccontano mai nulla della vita che hanno trascorso da esuli. 

Rientrano nel giro della giornata paesana, nei tuguri o nelle grotte, si contentano di masticare un finocchio o una foglia di lattuga, di guardare una pignatta che bolle, di ascoltare il fuoco che farnetica. 

E di uscire all’aurora se hanno un lavoro o un servizio da compiere, uscire all’oscuro per tornare di notte. “

 

Raffaele La Regina