Coronavirus, fase due. La Basilicata dei piccoli numeri da problema a risorsa: i bambini al centro

Il Garante dell'Infanzia Vincenzo Giuliano: Si potrebbero riavviare  le lezioni in classe, con l’insegnante in cattedra, in  aule attrezzate  per le videoconferenze o con una telecamera al lato del docente  per trasmetterle in streaming al resto della classe rimasto a casa

L’emergenza sanitaria ha messo in secondo piano i bisogni dei più piccoli. Con la seconda fase bisogna bilanciare la tutela della salute dei bambini e ragazzi con la compressione di  alcuni dei loro diritti: le relazioni, l’istruzione, le attività ricreative e motorie, il gioco.

Mi rendo conto che non è facile conciliare sicurezza sanitaria senza limitare il diritto allo studio, soprattutto per i più piccoli.  Ma la soluzione certamente non è quella di lasciare soli questi ragazzi nel mentre i genitori  tornano al lavoro. Da qui la necessità di una riapertura della scuola lucana, già a maggio e al momento parziale solo per quelle che non abbiano le condizioni di tutela per la salute degli alunni.

Se per il rientro in classe in sicurezza, previsto per settembre,  gli alunni dovranno indossare la mascherina, lavarsi le mani con igienizzante all’ingresso della scuola,  stare seduti da solo ciascuno nel proprio banco e laddove vi siano “classi pollaio” fare la turnazione  divisa in due gruppi: chi in presenza e chi online, e la settimana successiva ci si alterna,  perché  tenere chiusa la scuola laddove queste condizioni potrebbero da subito essere messe in pratica?

La Basilicata, per la sua condizione sanitaria favorevole rispetto alle altre regioni, per la sua rarefazione demografica, per la sua ricchezza di aule rispetto al numero dei bambini-ragazzi frequentanti  la scuola, per la presenza di tanti piccoli Comuni e piccole scuole, potrebbe rappresentare un test  significativo a livello nazionale anche  per intraprendere altre soluzioni prima della data di riapertura generale prevista per settembre.

La differenziazione di decisioni su base territoriale (Sindaci e dirigenti scolastici) potrebbe venirci in aiuto per sperimentare  metodi di ripresa differenziando le proposte per organizzare al meglio  il rientro di tutti in classe in sicurezza.  Proviamo ad immaginare come vive  un  bambino di 3-4 anni in casa senza giardino o balcone, lontano dai nonni, parenti e figure di riferimento  con entrambi i genitori  impegnati al  lavoro? I moderni pedagogisti ritengono che il protrarsi di questa segregazione, ancora per qualche mese, inciderebbe negativamente sul loro sviluppo perché continueremmo a privarli del loro diritto all’apprendimento, al movimento e alla socializzazione che avviene principalmente a Scuola. Permetterebbe a questi bambini e ragazzi di riprendere quella continuità nei rapporti e nelle attività didattiche con le figure di riferimento; e alle loro famiglie di ricevere quelle forme di sollievo che sono assolutamente necessarie dopo questo lungo periodo di segregazione.

Si potrebbero riavviare  le lezioni in classe, con l’insegnante in cattedra, in  aule attrezzate  per le videoconferenze o con una telecamera al lato del docente  per trasmetterle in streaming al resto della classe rimasto a casa. Il contatto tra docente e alunno, a maggior ragione quando ci sono patologie cognitive o povertà o espressioni di disagi sociali ed esistenziali, resta fondamentale, e la tecnologia non può offrire aiuto.

A SCUOLA SI IMPARA A GIOCARE LA VITA

Non dare il giusto peso alle conseguenze sociali di una crisi sanitaria ed economica come quella che sta investendo il nostro Paese/Regione è un rischio enorme.

Oggi la domanda da farsi non è quando l’emergenza rientra ma cosa succede se questo isolamento sociale si protrae.

E poi, teniamo l’estate davanti. Sarebbe opportuno una riflessione sui bisogni dei bambini oggi, sulla necessità di mettere in atto delle strategie per supportare il mondo dell’infanzia nella speranza che questo coronavirus lasci meno danni  possibili.  Affrontare la stagione estiva con lo stesso  disinteresse degli anni precedenti, quasi totale, delle istituzioni  locali nell’organizzazione del tempo libero, senza alcun sostegno  economico o di indirizzo progettuale, a chi ne avvertiva il bisogno, lasciando  da solo  quelle poche esperienze educative consolidate presenti in regione, quali associazioni, oratori, scout,  e non investendo e sostenendo  quelle iniziative che puntavano ad assicurare momenti di divertimento, di socializzazione e di partecipazione  all’aperto, indispensabili per la loro crescita psico-fisica, come alternativa ai videogiochi, sarebbe un ulteriore aggravio alla già tanto provata comunità giovanile.

La letteratura scientifica  afferma che i bambini che non giocano all’aria aperta da grandi saranno dei frustrati.

Come pure non dimenticare  un supporto alla famiglia, inteso non come guardiania  dei figli durante le ore di lavoro, ma come sostegno alla genitorialità,  con un aiuto emotivo e psicopedagogico. Aspetti da non sottovalutare all’interno delle nostre comunità.