L’emergenza coronavirus al Cova di Viggiano: “La pelle di molti lavoratori è valsa zero”

Il racconto di un lavoratore che denuncia scarse misure di sicurezza adottate per il contrasto al virus nell'impianto Eni della Val d'Agri

Ci scrive un lavoratore del Centro Olio di Viggiano per raccontarci cosa è accaduto nei mesi scorsi durante l’emergenza coronavirus e quanto ancora accade ora che è in corso la fase di convivenza con il Covid-19. L’uomo specifica: “chiedo di rimanere nell’anonimato, tuttavia non ci sarebbe alcun problema se questa piccola introduzione fosse pubblicata, tanto per sottolineare quanto io tema ripercussioni, pertanto mi nascondo, ho famiglia, anche se non accadesse nulla, sarei visto in malomodo“. Di seguito il suo racconto.

“L’emergenza coronavirus al Cova di Viggiano, l’ho vissuta sulla mia pelle. La pelle di molti lavoratori, in questo triste periodo, è valsa quanto la mia: zero. Il Centro Olio non poteva essere chiuso, dal momento che l’operazione necessitava di personale proveniente dal settentrione, data questa esigenza, associata al “focolaio Val d’Agri”, capirete la tragedia e il rischio di restare aperti. È stato infatti quanto di più surreale io abbia mai visto in molti anni d’esperienza lavorativa, accedevamo all’impianto, noi di una società contrattista con un buon numero di dipendenti, una delle ditte estrerne, come ci chiamano.

I primi giorni di marzo il virus sembrava non essere arrivato. Poche persone con le mascherine, ne vedevo solo una, quasi derisa. Non era esposto alcun obbligo, eppure eravamo nel solo ed unico posto che necessitava di un minimo di accortezza, la Basilicata è una regione a bassa debsità abitativa, sono pochi i luoghi affollati.

L’unica possibilità di lavarsi le mani era (ed è rimasta) quella di accedere ai bagni chimici, in spazi angusti e di dubbia igiene, sfido chiunque a scegliere un sito del genere per la propria igiene, purtroppo i bagni normali sono riservati al personale Eni nei propri spogliatoi, un bagno chimico è largo circa un metro quadrato, è un posto salubre?

Ricordo che nel mese di marzo i dipendenti di una società che si occupa di sicurezza, si mettono in sciopero, come riportato da poche testate locali, giornalisti che entravano nel merito della questione erano come mosche bianche. Col tempo alle inadempienze si è cercato di porre rimedio.

Non appena si scoprisse una normativa si cercava di eliminare il problema, mettendoci una toppa, dappertutto spuntavano cartelli con scritto: “Per Eni la salute delle persone è un valore inestimabile” tuttavia buona parte del personale Eni ad oggi non indossa la mascherina, atto che provoca molta agitazione tra gli altri lavoratori dell’impianto, essendo i pochi positivi registrati in loco, proprio dipendenti Eni.

A cavallo tra il mese di febbraio/marzo, accadde infatti questa sciagura, la stampa disse che forse il contagiato era uno solo, il tgr cambiò i numeri e i dettagli, le informazioni erano fuorvianti, con l’intento di rassicurare. Ma nell’impianto si sa nome e cognome dei soggetti interessati, molti ci hanno avuto a che fare, oggi possiamo considerarci fortunati a stare bene e poterlo raccontare.

In seguito ai fatti, subito le porte di ferro sono state montate a Santa Chiara, Eni obbliga persino con richiami il personale delle società contrattiste ad utilizzare i Dpi, non fornisce mascherine, ma misura la febbre facoltativamente, e soprattutto, costringe il lavoratore a firmare dei moduli, veri e propri esoneri per eventuali contagi, “non ho febbre”, “non ho sintomi respiratori”, “non ho avuto contatti con soggetti positivi”, un controsenso visti i fatti.

Solo nei giorni precedenti la fase due, la misurazione della temperatura diventa un obbligo, con segnaposto e percorsi indicati per l’accesso. Ma non finisce qui! Il giorno stesso dell’inizio della fase di convivenza, il disordine e la confusione sono tangibili, la febbre si misura obbligatoriamente! Ma diventa possibile saltare la fila, dal momento che non vi è nessuna tracciabilità dell’atto.

Lavoratori Centro Olio e pass Eni

Dunque dopo aver introdotto potenziali diffusori, e aver attraversato settimane in cui solo il caso ha aiutato il Cova a non diventare la Codogno della valle, un’altra novità: il pass Eni per misurare la temperatura a cadenza di 4 ore, ma ormai è quasi giugno.

Lavoratori Centro Olio e pass Eni

Chi ha la fortuna di lavorare per aziende che forniscono i DPI, è nato con la camicia, fra questi c’è anche chi ne riceve poche al mese, è un periodo storicamente difficile, in cui: si muore. La situazione, a giugno non si alleggerisce, diventa insostenibile nonostante le soluzioni, file interminabili sotto sole e pioggia, dove si perde il turno anche per andare in bagno o a mangiare. I turni richiesti a molte società esterne sono il mattutino 6-14 e il pomeridiano 14-22. Più di qualcuno viaggia per rientrare e terminando alle 22 non sa esattamente quando dormire se deve poi rientrare alle 6. Ciliegina sulla torta l’indifferenza dei sindacati e di Eni. Ogni lavoratore timbra per entrare in impianto, possibile che il tornello scatti anche per chi muore di sonno? Possibile provocare un potenziale incidente stradale al lavoratore stremato? Qualche azienda ha persino la reperibilità notturna, cosa che aggiunge un’ottima dose di bestialità alla vita dell’operaio lucano medio.

Ormai è come stare nella fossa dei leoni, sperando che Eni, ogni tanto, lanci un pezzo di carne. Ma noi, non siamo colpevoli di nulla, né dell’inquinamento, né del virus, siamo solo nati in una regione dove c’è (quasi) solo questo, vogliamo solo mangiare, veder crescere i nostri figli, informare gli altri di quella che è la verità, ed essere sostenuti .
Perché non siamo responsabili di nessun inquinamento, qui abbiamo anche noi le radici.

Lettera firmata