Potenza: da città Brancaleone a Capoluogo del futuro

Abbandonare l’inseguimento di chimere dannose e la coltivazione di illusioni condite in un brodo di banalità e di vanità

Immaginavo la città di Potenza proiettata, con la sua naturale inclinazione storica, in un orizzonte più limpido. Un Capoluogo Hub della mobilità regionale, fulcro nevralgico della rete dei trasporti, nodo avanzato dell’industria terziaria, centro strategico dei servizi pubblici regionali e statali, luogo naturale della ricerca e dell’università. Una città vocata alla sperimentazione delle tecnologie applicate all’organizzazione urbana. L’asse di una ruota che armonizza contrade, campagne, persistenze della tradizione contadina in un quadro di interazione tra memoria e futuro. Una città al centro delle culture della tecnologia, dove, per esempio, le arti si sperimentano nelle forme più varie suggerite dalle tecniche di avanguardia.

Invece? Invece sta diventando sempre più una città alla Brancaleone, vittima di se stessa, delle sue inutili e dannose presunzioni, incapace di scorgere un percorso di cambiamento e di guidarlo. Sta diventando sempre più una città né carne né pesce, senza un’identità culturale, antropologica, che aiuti chiunque a percepirla, al primo impatto, in qualche modo distinta.

Potenza si perde in diatribe senza senso, nell’inseguimento di chimere dannose, nella coltivazione di illusioni condite in quel brodo di banalità e di vanità che si chiamano città d’arte, città turistica. Diatribe che finiscono anche per diventare grottesche, come quella sulla tassa di soggiorno.

Il futuro e l’identità di Potenza sono altrove, cioè dentro l’anima e le inclinazioni storiche della città. Ma se si continua a far finta di non vederli, se si continua con la prospettiva di imitare Matera, Venosa, Tricarico, Maratea, Metaponto e così via, entrando in competizione con il patrimonio della regione di cui ella è Capoluogo, il futuro si annerisce. Un ponte e una villa dell’antica Roma ce l’hanno quasi tutte le città d’Italia, tra l’altro piene di castelli e di importanti antiche testimonianze, che senso ha insistere sul contorno anziché sul piatto principale? Il piatto principale è servito in quell’inclinazione storica di cui ho parlato all’inizio.

E se proprio si vuole aggiungere valore al contorno, facendolo diventare la seconda portata di primo, nella prospettiva di diventare anche una città turistica, allora si faccia come a Bilbao. Una bella “operazione Guggenheim”. Quel museo rappresenta la rivoluzione di una città, nota esclusivamente per il terrorismo basco, fondamentalmente sonnolenta, chiusa nei suoi recinti industriali e minerari, oggi diventata, grazie al Museo la seconda meta più visitata in tutta la Spagna. Bilbao grazie a questa grande operazione è oggi la città del Guggenheim e non più del terrorismo basco.

I bilbainos non hanno preteso di vendere un avanzo del patrimonio storico-culturale di Toledo, Malaga, Cadice, Valencia, e così via. Hanno aggiunto un valore a tutto il resto.

Ecco, si ragioni sullo sviluppo della città partendo dalle considerazioni iniziali e si immagini un evento culturale permanente, originale, unico capace di attrarre decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo. Un museo unico nel suo genere, una rassegna internazionale dei vini dei Paesi del mediterraneo, un centro sperimentale di arte e tecnologia, un festival internazionale dei percussionisti e degli strumenti a percussione…Lancio a vanvera, nella speranza di farmi capire. Rimane tuttavia principale la strada che a mio modesto avviso ho indicato all’inizio dell’articolo. Naturalmente per forgiare il ferro occorre il fabbro. E anche il fabbro ha una visione.