Recovery Fund. Bene Conte, ma l’accordo apre un futuro incerto

Se i presidenti del consiglio degli ultimi trent’anni avessero agito come lui oggi avremmo un’Italia e un’ Europa più forti

È da tempo che pensavo di scrivere il panegirico di Giuseppe Conte, ma la cronaca corre veloce e i bilanci vanno fatti alla fine. Per ora mi limito a dire che se i presidenti del consiglio degli ultimi trenta anni avessero agito come lui oggi avremmo una Italia e una Europa più forti.

Invece da Prodi a Berlusconi, passando per tutti gli altri, abbiamo avuto una gestione che oscillava dal disinteresse profondo per quanto avveniva in Europa al vero e proprio tradimento. Nel senso che si pensava che l’Europa avrebbe dovuto insegnarci le buone maniere per fare in Italia quelle riforme liberali che la nostra politica non riusciva a ottenere con sistemi democratici. In entrambi i casi si firmava qualsiasi trattato a occhi chiusi: ce lo chiede l’Europa!

Insomma l’Europa come mito di modernità ed emancipazione dai nostri difetti, senza accorgerci in realtà che ogni altro stato europeo dei propri difetti se ne fregava e tirava in continuazione la coperta dalla propria parte lasciandoci con il sedere esposto.

Nel merito dell’accordo di ieri trovo francamente insopportabile la visione da bambini che fanno il tifo allo stadio: l’Europa ha vinto o perso? E i sovranisti come ne escono? E le pagelle ai leader…

In realtà è un accordo che supera il contingente, ma apre un futuro incerto e con molti problemi di fondo sulla sopravvivenza stessa dell’Europa. Segna però un inizio di una nuova consapevolezza.

C’è un convitato di pietra che spunta nelle discussioni tra i leader più attenti: il tema delle divergenze tra le economie. Se non si invertono l’Europa unita finisce.

Se qualcuno pensa che si possa andare avanti con le attuali politiche liberali che negli ultimi 10 anni invece le hanno aumentate, a esempio il PIL tedesco pro capite è cresciuto del 30% più di quello italiano, non prosegua con la lettura.

Spiegare l’ovvio alle capre è inutile, come lavare la testa all’asino: si perde l’acqua e il sapone.

Questo accordo va nella giusta direzione?

Il costo del debito pubblico

Perché occorre condividere il debito pubblico europeo tra tutti gli Stati? Per due motivi.

Il primo è che il differenziale di tasso, spesso pilotato ad arte dalla BCE per fare pressioni sui governi, è dovuto alle differenze dei fondamentali economici.

Nella figura seguente si vedono da un lato le differenze di tasso di finanziamento del debito pubblico dei singoli Stati e dall’altro il tasso di finanziamento dell’ ESM, meglio noto come MES, che rappresenta con buona approssimazione il tasso di indebitamento di un debito pubblico comune europeo, che in aggiunta non avrebbe la “cresta” del MES stesso.

Negli ultimi 10 anni l’Italia ha pagato interessi cumulati per 857 miliardi circa. È proprio a questa voce che si deve il peggioramento Debito / PIL. Se ci fosse stato un debito pubblico comune e se l’Italia in virtù di questo avesse pagato interessi al tasso medio del – 0, 07% della figura il Debito / PIL italiano, prima della crisi COVID, sarebbe stato dell’85% circa e non del 135%. L’Italia da anni ha un surplus e non un deficit sul PIL se si esclude il costo del debito.

Avere un paese all’interno dell’area euro che paga interessi elevati agevola tutti gli investitori, ad esempio i fondi pensioni tedeschi. In questo modo si offre un rendimento di fatto a rischio zero purché non si parli di Italexit. Dubbia è l’utilità per l’economia tedesca di avere tassi negativi. La figura sgombra il campo anche da una delle tante polemicucce ossessive sul MES: la bufala che convenga solo all’Italia. In realtà conviene quasi a tutti ossia alla parte sinistra della curva. Forse Zingaretti, Berlusconi e tutta la compagnia di giro dovrebbe chiedersi come mai sia stato subito scartato da tutti gli altri stati fin da aprile e noi italiani dovremmo chiederci perché questo tormentone continui.

Se i leader europei vogliono realmente diminuire le divergenze questo è quello che occorre fare: condividere il debito.

Il secondo è ancora più semplice. Può esserci lo Stato unitario italiano se i veneti, ad esempio, non condividono il debito pubblico italiano con i calabresi? Ovvio: No! Analogamente non ci può essere una moneta unica, una unica banca centrale e, soprattutto, una vera Europa Unita senza condividere il debito.

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Non credo che le capre, di cui sopra, riescano a capire una spiegazione così semplice e così essenziale.

Su questo punto l’accordo di ieri è un passo significativo in avanti.

Rebate e paradisi fiscali

Piccoli paesi europei, Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Malta ecc., sottraggono imposte ad altri Paesi europei. Di la dal tema della concorrenza impositiva sleale tra le nazioni, la capacità complessiva delle entrate fiscali europee è indebolita. Paradossalmente converrebbe eliminare i paradisi fiscali e compensarli per la perdita di guadagno. Mi spiego. Se l’Olanda ad una azienda che dovrebbe pagare 100 euro di tasse in Italia ne fa pagare solo 10, converrebbe far pagare i 100 euro dovuto all’Italia e rigirarne 10 all’Olanda.

Questa perdita complessiva di gettito europeo aumenta le divergenze, insieme al rebate maggiore ottenuto da alcuni stati, in modo strutturale e non si parla di spiccioli.

La perdita di gettito annua per l’Italia vale almeno 7,5 miliardi  che in 10 anni fanno 75 miliardi … più del doppio dei 36 miliardi del MES da restituire in un periodo analogo. Ecco a cosa avrebbe dovuto stare attento Prodi e Berlusconi e il PD invece di invocare istericamente e scioccamente l’accesso ai fondi del MES.

L’aumento del rebate costituisce quindi un punto negativo dell’accordo, figuriamoci se in questo clima si sarebbe potuto affrontare il tema della fiscalità. Anche se Conte lo ha ringhiosamente e giustamente ricordato. Fisco e rabate sono il frutto avvelenato del ricatto di Rutte e di altri piccoli uomini privi di scrupoli e morale.

Centralità infrastrutturale e politica

La politica porta quattrini, soprattutto dove ci sono i centri decisionali. Nove istituzioni europee hanno sede a Bruxelles, tre in Lussemburgo, due a Strasburgo e una a Francoforte. La sola agenzia del farmaco, finita in Olanda e non a Milano, vale almeno un miliardo di PIL anno. Figuriamoci tutto l’ambaradan.

Qui occorre chiedere delle compensazioni strutturali per i paesi della periferia che sono lontani da questi centri e non possono beneficiarne, oppure distribuire con più equilibrio la governance europea.

L’85% dei traffici tra l’Europa e il resto del mondo passa dai porti del Nord Europa.

In questa situazione la ricchezza europea continuerà a concentrarsi lì, altro che riforme strutturali!

I leader europei invece hanno consentito l’aumento dal 20 al 25 % dei dazi doganali trattenuti, aumentando così il gap strutturale tra i paesi del Nord e quelli del Sud.

Qui c’è anche la politica italiana che si ostina a non capire il problema della perdita di centralità del Mediterraneo e le grandi opportunità che ci sono invece per il Mezzogiorno e per l’Italia tutta.  Purtroppo questa incapacità contagia anche Conte e i suoi consulenti come Colao.  Il Sud potrebbe essere la grande opportunità dell’Italia se di dotasse di infrastrutture portuali, autostradali eccetera per aprire le vie di commercio con l’Oriente in alternative a quelle del Nord Europa.

Se non ci fanno sviluppare i commerci con l’oriente per gli interessi dell’Olanda o della Germania, come ha già fatto la Merkel con la Grecia, anche qui si stabiliscano compensazioni.

Le misure ottenute sono una tantum. Se questi soldi non si spenderanno in modo intelligente per un piano infrastrutturale di visione torneremo a breve da capo a dodici. Francamente non sono su questo ottimista: panegirico a Conte rinviato.

La questione democratica

Il ricatto che ha trovato il suo culmine con la richiesta del voto all’unanimità pone un serio problema di democrazia e di sostanza economica.

Se l’economia fosse una scienza esatta il problema sarebbe minore o nullo. Come nella progettazione di una casa. Si applicano le formule e la casa si regge, il parlamento o Rutte nulla possono! Purtroppo non è così. Non esiste una ricetta certa per risanare l’economia del nostro paese e di nessun altro paese. L’omologazione culturale che si adagia supinamente sul pensiero liberista ci ha fatto credere che la via della riduzione della spesa pubblica e lo spostamento delle risorse dallo Stato al privato possa risolvere ogni problema. Non è così, anzi i problemi sono aumentati. Oltre alle divergenze tra i territori sono aumentate le divergenze sociali impoverendo tutti. Un disastro che ci si ostina a non voler vedere.

Di la dal merito dobbiamo convenire che l’essenza della politica è la gestione dell’economia e delle risorse pubbliche e la redistribuzione della ricchezza creata. Se in un paese i voti espressi vanno a chi offre soluzioni keynesiane, per esempio, perché deve sottostare alle ricette di un altro paese dove a vincere sono stati i liberali?

Il punto è questo. Può Rutte imporre le sue ricette economiche all’Italia? Può farlo l’Europa?

Certo qualcuno potrà dire che se l’Europa ti da i soldi poi ha titolo per importi una conduzione economica. E se poi le ricette che impone, come accaduto in Italia con il governo Monti e in Grecia con il MES, invece la situazione la complicano chi ne risponde e a chi?

Cosa direbbe Rutte se questi soldi li spendessimo per fare infrastrutture al Sud in modo da dirottare una quota consistente dei traffici con l’Oriente che oggi passano nel distretto portuale di Rotterdam – Anversa? Chiaro dove è il punto? Sfidiamo Rutte su questo e vediamo tutta la sua prosopopea calvinista che fine fa.

Certo delle regole comuni occorrono ma queste vanno contemperate con la democrazia. Se Rutte fosse votato anche in Calabria potrebbe dire la sua sul nostro Paese, ma così no.

Il tema dei controlli è delicatissimo e ha portato ad uno scontro quasi insanabile nei giorni scorsi. Per questo mi stupisce che politici come Zingaretti non capiscano la reale portata del MES, che il tema dei controlli e dei “freni di emergenza” lo sposta ad un organismo burocratico senza alcuna responsabilità politica. Non sarà per questo che neanche Cipro e la Grecia, oltre alla Spagna, abbiano chiesto il MES?

Tutte le contraddizioni emerse in questa trattativa dovrebbero sedimentarsi e far riprendere il cammino verso la riconsiderazione dei meccanismi di funzionamento europeo e di un maggior peso degli organismi eletti.

La sotterranea competizione tra stati a chi afferra il pezzo più grande della coperta la lacera a lungo andare. Per non romperla ci si mette una pezza dietro l’altra.

Vedremo quando la discussione si sposterà al patto di stabilità.

Sarebbe logico aspettarsi una modifica del patto che porti alla condivisione del debito, al pareggio di bilancio prima della spesa per interessi e a tenere fuori dai conti le spese in investimenti strutturali. Sarebbe stato logico farlo in contemporanea con l’introduzione della moneta unica, ci avrebbe evitato tanti psicodrammi.

Ma in qualche modo è quello che si è iniziato ad intravedere dopo le estenuanti trattative di quattro giorni e se si proseguirà così renderebbe tutto più semplice. Ma non accadrà.

Pietro De Sarlo il blog www.pietrodesarlo.it