Venosa. Una città che si fa pozzanghera anziché sorgente

Il lucchetto all’ex Convento di san Domenico e la fine di una sperimentazione sociale di costruzione di comunità educante e capacitante

Un anno fa, la Venosa securitaria, sostenuta da una schiera di produttori di invidia sociale e scoraggiatori” seriali, pose fine ad una delle esperienze più significative e originali del panorama culturale regionale che l’associazione “Familiari Antistigma” aveva intrapreso nel cantiere eterno, divenuto un rudere di città, dell’ex Convento San Domenico. Su di un sipario/sudario, fatto di un telo verde-lutto, questi “signori” hanno scritto la parola fine di un esperimento sociale di costruzione di comunità educante e capacitante.

Non è solo importante costatare il nulla di fatto e le promesse mancate seguite a quel provvedimento, c’è qualcosa ancora di più preoccupante che svela la natura devastante di quella decisione.

Oggi, Cagi (noto vignettista lucano, ndr) ce lo ricorda con una vignetta arguta ed eloquente delle conseguenze disastrose di quella decisione: hanno sigillato ex Convento san Domenico privando Venosa di un luogo simbolo dell’immaginazione. Uno scippo, un furto ai danni del presente e futuro del nostro paese.

Quando ho chiesto a Cagi quale titolo aveva pensato per la vignetta, mi ha risposto di aver pensato ad un ladro e il titolo più appropriato non poteva che essere “Ladro di…”.  Con questa vignetta Cagi, simbolicamente, come un novello Robin Hood (quello che si riprende e restituisce il maltolto ai poveri), riconsegna un pezzo di cielo che il telone verde-lutto ha oscurato. Con quel pezzo di cielo, i cittadini di Venosa diventerebbero veramente più ricchi.

Ha ragione chi dice che “bisogna essere molto forti e avere una resistenza fuori dal comune quando, d’estate, si percorrono le atroci periferie romane. La forza e la resistenza consistono nel non permettere a questi scenari desolati e sfiniti di diventare lo specchio di ciò che si è tentati di essere e di ciò che si vorrebbe pensare”.

Una costatazione amarissima ma anche un’indicazione chiara di ciò che è necessario per “non permettere”.  Ed è vero: “i luoghi fanno anima, lo fanno per conto loro, non li fermi con la coscienza.”

Se Venosa non ha ancora raggiunto i livelli della desolazione delle periferie romane, anche se diversi indicatori sembrano dare per certo che quello è il suo destino, è comunque periferia che tende a diventare solo attraversamento e dimora del marginale. Venosa, abbandonata al suo destino, sarà una città che si fa “pozzanghera, invece di essere sorgente”.

L’ex Convento di san Domenico, negli anni di attività e di apertura, si era trasformato da cantiere-rudere a luogo cult, in cui l’anima aveva piacere di stare e dimorare. Quelle rovine erano state trasformate in luogo di produzione e animazione culturale e le istallazioni artistiche ne avevano mostrato e potenziato tutta la loro bellezza. I venosini non avevano più memoria di quella bellezza e se la sono vista restituire. Con il provvedimento di chiusura, l’Amministrazione comunale penta stellata ha privato i cittadini di quella bellezza e, infatti, se chiedete ad un venosino i luoghi di bellezza, sicuramente, non includerà Ex Convento nel suo elenco. Quella bellezza è stata ri-cancellata dalla memoria.  Se questo non è un evento disastroso, ditemelo voi cosa c’è di più disastroso?

Un gruppo informale di persone aveva trovato un cumulo di letame e ne aveva fatto un campo di fiori, quel sudario verde-lutto lo ha distrutto proprio come fa un diserbante, demolendo un pilastro centrale di quell’architrave di resilienza che non permette alla desolazione di farsi specchio della nostra anima.

Luigi De Bonis – Venosa

L’ex convento animato

Venosa ladri di cultura

Il portone chiuso

Venosa ladri di cultura

Una delle vignette di Cagi

Venosa ladri di cultura