Covid, in isolamento da 30 giorni quattro amici di Potenza: adesso basta, denunciamo

Tra loro Vito Foscolo, che nei giorni scorsi ha perso il papà, lo zio e il nonno: tutti e tre morti a causa del virus dopo essere stati ricoverati in Terapia intensiva all'ospedale San Carlo

Tra loro c’è sicuramente chi in questo momento è maggiormente provato e sta vivendo un dramma nel dramma. Giuseppe Bochicchio, Massimiliano Di Noia e Michele Ragone e Vito Foscolo da 30 giorni sono chiusi in casa dopo essere risultati positivi al virus. Le loro condizioni di salute sono buone, “qualche lieve sintomo i primi giorni e poi nulla più”. Vito nei giorni scorsi ha perso il papà, lo zio e il nonno: tutti e tre morti a causa del covid all’ospedale San Carlo.

I quattro amici di Potenza hanno fatto il primo tampone in un laboratorio privato perché nei loro contatti c’era un positivo. Inseriti nella piattaforma dell’Asp hanno cominciato a fare i conti- come raccontano “con la disorganizzazione che regna sovrana”.

I quattro dopo 10 giorni dalla dichiarata positività hanno fatto il secondo tampone che purtroppo ha dato ancora esito positivo, così come il terzo.

In questo mese di isolamento hanno fatto decine di telefonate ai numeri dedicati alla gestione dell’emergenza e ai loro medici di famiglia e oggi la loro esperienza “non può che essere negativa”, almeno quella!

Giuseppe, Massimiliano, Michele e Vito si chiedono come mai in Basilicata non si applichino le normative previste per tutta l’Italia ed in particolar modo la Circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020.

La disposizione ministeriale prevede infatti che “Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia 4 che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato)”.

Tutti e quattro rientrerebbero tra i casi previsti nella circolare del Ministero essendo trascorsi i 21 giorni dalla comparsa di lievi sintomi. Di certo- ci tengono a chiarire -non siamo incoscienti e quindi non chiediamo di andarcene in giro, quello che chiediamo è che siano rispettate ma soprattutto applicate le norme. E per applicarle c’è bisogno che qualcuno ci ascolti, o meglio ci risponda al telefono. Invece i contatti con le autorità sanitarie competenti alla gestione dei positivi sono impossibili. Chiediamo di poter andare a fare un tampone per poter tornare alla vita di tutti i giorni, lavoro compreso”.

Essere in isolamento in una stanza da 30 giorni non è facile, soprattutto dal punto di vista emotivo, se poi chi dovrebbe seguirti non ti risponde nemmeno al telefono, o se lo fa soltanto dopo innumerevoli tentativi,  diventa ancora più difficile. “Dobbiamo vivere in attesa che qualcuno si ricordi di noi”.

I quattro, che si tengono in contatto con videochiamate, hanno deciso di rivolgersi a un avvocato per denunciare quanto sta accadendo, ovvero la non applicazione della normativa nazionale vigente. 

Vivere in una stanza mentre i tuoi cari sono stati portati via da questo mostro e non sapere quando e se riuscirai a venirne fuori diventa sicuramente insostenibile per chiunque, per lui, in questo momento è devastante- chiosa Giuseppe ricordando il dramma che sta vivendo Vito. 

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