Dalla pandemia alla profanazione della stupidità

Quanto mi ami? Siamo finiti nel bordello della conta. Contiamo tutto senza che nessuno di noi conti veramente qualcosa

Non sono numeri, sono anime, pensieri, filosofie, vite, arti e mestieri, storie, memoria.  Sono nodi di relazioni lunghe e corte, estese o intense. Le persone contagiate dal virus sono appunto “persone”, uomini e donne, ragazzi e adulti, giovani e anziani. All’improvviso si trovano coinvolte nel vortice di un’esperienza inedita in un recinto di paure, di incertezze, di ansia. Molte di loro sperimentano una condizione di fragilità e di colpevolezza, nel quadro di quel tragico luogo comune che ancora identifica nel malato il reo della sua malattia. Colpevoli di aver contagiato altri, amici, familiari, conoscenti, colleghi. E dunque una persona colpita dal virus è una persona non un numero. Intorno a lei, altre persone, altri luoghi, altre relazioni. Un piccolo mondo vitale e normale sconvolto da un episodio inaspettato o atteso nel caos della fatalità. I numeri provocano emozioni, le persone impongono sentimenti. In questa pandemia stiamo favorendo uno degli strumenti  più subdoli e seduttivi del neo capitalismo: l’emarginazione dei sentimenti per rendere ancora più virali le emozioni. Un popolo emotivo, dipendente dalle emozioni, si lascia sedurre e sfruttare più facilmente. In un campo “magnetico” di emotività è più facile mettere i poveri contro i poveri, lasciarli soffrire, con la benda agli occhi, nel loro conflitto senza uscita.

Un numero non è contagioso, non ha anima. Un numero non ha paura degli altri numeri, non è cosciente, non ha progetti, non ama né disprezza, non muore, non si ammala. E allora, stiamo attenti. Stiamo sbagliando da decenni, da quando abbiamo iniziato ad usare gli aggettivi in luogo dei sostantivi e siamo diventati asintomatici portatori del virus del denaro. Da quando abbiamo reso immune la coscienza dalle ferite della disumanità e dai colpi di frusta della realtà.

E così siamo finiti nel bordello della conta. Contiamo il denaro, le distanze, il tempo, le persone: numeri e sempre numeri, soltanto numeri. Eppure, finanche un numero ha alle sue origini un pensiero, una filosofia, una ricerca della verità. E nel momento in cui lo abbiamo sfigurato, privandolo dell’essenza, riducendolo a strumento di conteggio, l’Uomo è finito nella mescolanza con la rozza materia. Ecco, il destino dei numeri sfigurati si è incrociato, da qualche parte nella storia, con il destino dell’umanità. Contiamo i morti, i feriti, i poveri, i ricchi, i missili, gli aerei, i soldati, il denaro, i giorni, gli anni, la temperatura, perdendo il legame con la coscienza che ci imporrebbe di vedere, sentire, toccare le persone e le loro identità, le loro vite vere.

“Quanto mi ami?” È la domanda che simboleggia la reificazione dei sentimenti. “Quanti soldi hai?” È la domanda che esprime la fragilità dell’Uomo in un mondo in cui l’inutile è diventato più necessario dell’indispensabile. “Quanti erano nella sala, quanti ne assumi, quanti ne licenzi, quanti alla mensa dei poveri, quanti, quanti, quanti… Eppure le domande giuste sarebbero altre: Chi? Perché? Ma le domande giuste sono anche scomode, provocano le coscienze e si prendono gioco dell’ignoranza umanitaria degli esseri umani. Le domande giuste richiedono risposte difficili e le risposte difficili richiedono un capovolgimento delle vite, dei comportamenti, delle relazioni, dei sentimenti: una rivoluzione nell’ esistenza.

Intanto, contiamo tutto senza che nessuno di noi conti veramente qualcosa. Ci forniscono dati, numeri, statistiche, indici di borsa, in luogo di identità, storie, vissuti. Gli algoritmi e le tecnologie hanno rovesciato l’essenza della vita nel mare indistinto della sopravvivenza. Sopravviviamo a noi stessi mentre altri, plutocrati imbalsamati, vivono sopra di noi. Ci forniscono il cibo che vogliono loro, ci impongono le loro regole, ci dicono come dobbiamo comportarci, ci tengono in gabbia, senza che nessuno di noi si senta schiavo di qualcosa o di qualcuno. Ci spingono a cercare le emozioni più banali, istantanee, per sfruttarle e renderle causa del fanatismo consumistico. Perché il sentimento, al contrario delle emozioni, non può essere sfruttato.

Incapaci di leggere i segnali che arrivano dal futuro, non ci restano che la profanazione e l’eresia. Profanare l’inutile abbondanza, offendere la sacralità del denaro, delle ricchezze materiali ed espugnare i loro monasteri. Restituire al libero utilizzo degli uomini le cose che appartenevano agli uomini: l’amore, la fratellanza, la vicinanza, la cura degli uni verso gli altri, la gioia del dono. Attraverso la profanazione del mondo contemporaneo possiamo restituire agli uomini la loro umanità. I sacerdoti del neoliberismo, del capitalismo nichilista e seduttivo, licantropo e filantropo, vanno combattuti con l’eresia. La loro religione è nemica dell’umanità, chi segue quella dottrina e partecipa alle loro liturgie è vittima e complice. In fondo, il capitalismo in tutte le sue forme aggressive e seduttive è una cosa stupida, che ha costruito un mondo  stupido, abitato da gente stupida che, per riscaldarsi, dà fuoco alla casa in cui abita.

I movimenti sociali, culturali, rivoluzionari del secolo scorso hanno ancora molto da dirci. Rivitalizziamo le loro radici e riprendiamoci i valori che ci hanno lasciato in eredità. Adattiamo i loro insegnamenti alla realtà contemporanea, rimescoliamo le carte della storia.

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