E se la storia di Ulisse fosse stata raccontata da Penelope?

La scrittrice Marilena Lucente nella "Trilogia delle donne dell’acqua” ribalta le prospettive della storia

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Marilena Lucente insegna materie letterarie a Caserta. Si occupa di educazione attraverso il teatro, il cinema e la narrazione. Nelle sue pagine, costruisce dialoghi intensi ed emozionanti tra passato e presente, attingendo in particolare dall’universo femminile. Come già nello scritto per il teatro dal titolo “di un Ulisse, di una Penelope” (Mutamenti edizioni, 2017), le gesta eroiche della poesia omerica e della mitologia vengono riviste attraverso gli occhi delle donne che silenziosamente le popolano. Così avviene nella “Trilogia delle donne dell’acqua” (AnimaMundi Edizioni, 2019).

Nei suoi lavori, lei ribalta deliberatamente le prospettive della storia: le donne della sua Trilogia si svelano diverse dalla secolare narrazione al maschile. 

Il poeta è Omero, prima ancora la poesia come canto è affidata ad Apollo, e poi seguiranno anni e secoli di parola e narrazione al maschile. Le donne però hanno sempre raccontato e delle loro parole è fatta anche la narrazione degli uomini. Ma quante cose sarebbero cambiate, anche per noi, oggi, se la storia di Ulisse fosse stata raccontata da Penelope, o se le avventure degli Argonauti fossero state tramandate dalla voce di Medea, che è la prima ragazza salita su una nave. Così per Didone, che brucia insieme alla sua storia, mentre Enea continua a viaggiare e fonda una nuova città, una nuova civiltà. Il racconto al femminile avrebbe cambiato non solo le narrazioni, ma tanti, tantissimi riferimenti culturali e politici nei quali ancora adesso ci muoviamo.

Hanno un ruolo fondamentale, il mare, l’acqua, nel suscitare le sue riflessioni. Perché? 

Perché siamo quello che respiriamo, quello che vediamo, quello che entra nel nostro sguardo senza neanche volerlo. Tutti veniamo dall’acqua, e continuiamo a tenerla dentro di noi. Dovremmo fermarci e pensare al modo in cui l’acqua ci permette di stare al mondo, determina il nostro sentire, la nostra stessa sensibilità. E non sto parlando solo di poesia, ma di fisica, di materia. È un “meccanismo” meraviglioso.

Crescere accanto al mare poi, nella mia biografia, è stato determinante. E ha influenzato la mia scrittura: “Il mare”, seguendo Borges, “è quell’idioma antico che non so ancora decifrare”.

Le donne della sua “Trilogia delle donne dell’acqua” hanno molto da dire al nostro tempo. Lei attinge a una coscienza universale nelle radici delle nostre culture, cresciute nel grembo del Mediterraneo. 

Il grembo, sì, del Mediterraneo. Il mare e la terra che insegnano a stare al mondo ma anche a viaggiare. Viaggiano gli uomini, le donne, gli animali, i semi delle piante che poi diventeranno altrove alberi, la musica, le lingue: ed è un continuo intrecciarsi di saperi. E’ un luogo dove è avvenuto – quasi – tutto. Eppure ha sempre una promessa di avvenire.

In questo libro ho immaginato le tre figure del mito parlare accanto al mare. Come facciamo quasi tutti, spingendo lo sguardo sino all’orizzonte. Ma ho scritto anche con la dolorosa consapevolezza che oggi il Mediterraneo è un grande, forse il più grande, cimitero subacqueo. Questa consapevolezza – marina – ci chiama, dovrebbe chiamarci, ad un altro modo di pensare e di vivere la vita sulla terra.

Quanto conta, oggi, il punto di vista delle donne, a suo avviso? 

Conta quanto dovrebbe contare il punto di vista di tutti. Sicuramente di tutti quelli che non contano: le donne, i bambini, gli uomini che non hanno ancora diritti. In questi tempi, è un esempio, ma è anche un mio bisogno, dovrebbe contare il punto di vista dei malati e non solo quello dei virologi in prima serata. Conta il punto di vista, lo sguardo di chi ci insegna a cambiare sguardo. E le donne hanno questo sapere. Bisogna trovare il modo di esprimerlo, questo è l’orizzonte a cui io guardo.

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