Emergenza covid in Basilicata, “gestita come quella di una lontana provincia di un Regno borbonico”

La Basilicata Possibile interviene dopo l'annuncio che la regione diventerà zona arancione: la pazienza è finita

Da domani anche la Basilicata diventerà zona arancione con conseguenze serie su un sistema produttivo (chiusura di bar e ristoranti che, a fatica, avevano resistito alla prima ondata pandemica) e sulla vita dei cittadini lucani (limitazione degli spostamenti).

Pare del tutto evidente (ma chiediamo di essere puntualmente smentiti su questo) che questo accade non per la incoscienza (almeno non solo) dei quattro gatti che siamo in questa regione ma per l’insipienza di un Governo Regionale che ha gestito l’emergenza in Basilicata come quella di una lontana provincia di un Regno di borbonica memoria.

Infatti dei 21 criteri (noti dal 30 aprile scorso) adottati dal Governo per decidere del grado di rischio Covid nelle regioni, i primi 12 riguardano la capacità delle regioni di trasmettere tempestivamente informazioni dettagliate sulle attività di accertamento, tracciamento e monitoraggio dei contagiati.

Su ciascuno di questi sarebbe necessario avere contezza (per esempio abbiamo assunto gli oltre 50 addetti al tracciamento previsti e finanziati dal Governo?) per chiarire ai lucani le vere ragioni per le quali la Basilicata arriva a questo punto rischiando, per le stesse ragioni, di finire rapidamente in “zona rossa”.

Come valutare altrimenti i dati che ci danno, rispetto alle altre regioni, ai valori più bassi in termini di percentuale contagi/tamponi e invece al più alto (dati del 9 novembre) in termini di incremento settimanale dei casi? E’ questa la fotografia di una situazione favorevole in partenza (bassa densità di popolazione) ma che è ormai fuori controllo.

Nel Decreto del Ministro Speranza del 30 aprile 2020 viene chiaramente indicato che: “… Qualora gli indicatori non opzionali di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti non siano valutabili o diano molteplici segnali di allerta, il rischio così calcolato dovrà essere rivalutato al livello di rischio immediatamente superiore.” E poi “…Se non sarà possibile una valutazione secondo le modalità descritte, questa costituirà di per sé una valutazione di rischio elevata, in quanto descrittiva di una situazione non valutabile e di conseguenza potenzialmente non controllata e non gestibile.”

Siamo ormai stanchi di dare consigli che vengono ascoltati con mesi di ritardo (è da marzo che avevamo chiesto di contattare gli albergatori per predisporre luoghi di accoglienza che evitassero i contagi in famiglia).

Siamo stanchi della leggerezza con la quale – in controtendenza con Regioni come Lombardia e Calabria che stavano facendo di tutto per dimostrare (con diversa credibilità in verità) di non meritarsi le restrizioni da zona rossa – si annunciano provvedimenti (come l’interruzione della didattica in presenza anche per le scuole elementari e medie) che il Governo, a ragione, non prevede nemmeno per le “zone rosse”.

Non c’è quindi nemmeno la percezione del danno gravissimo che la didattica a distanza ha già determinato soprattutto (anche se non solo) per le fasce più deboli della popolazione. Parliamo dei ragazzi e delle ragazze privi di spazi individuali, di connessioni internet decenti, di strumenti informatici adeguati. Di quelli disabili per i quali ogni interruzione del percorso verso l’autonomia significa tornare indietro, non solo fermarsi. Di quelli che la povertà educativa la ereditano in famiglia e che solo la scuola pubblica può salvare da un futuro già segnato.

Siamo stanchi di assistere al dramma di quanti hanno visto rinviate a data da destinarsi visite e cure fondamentali per la loro speranza di combattere/prevenire malattie croniche e tumori anche gravi.

Stanchi della solitudine nella quale si continuano a lasciar morire i pazienti COVID senza nemmeno organizzarsi per consentire una visita di commiato ai parenti.

Sappiano lor signori, che quando tutto questo finirà, accanto alla gratitudine per quelli che negli ospedali e nel territorio si sono generosamente spesi, in tanti conserveranno dolorosa memoria di quello che è accaduto, di quello che si poteva fare e non si è fatto. E anche di quello che, nella situazione data, proprio non si poteva evitare ma che non avrebbe comunque dovuto mai succedere in un Paese decente.

Di questo, del tempo trascorso inutilmente quando c’era ancora la possibilità di farsi trovare pronti, della presunzione di fare da soli anche di fronte all’evidente necessità di uno sforzo comune, delle poche parole di verità indirizzate a un popolo che non è di sudditi incoscienti, presto toccherà dare conto.

Fino ad allora continueremo a sostenere ogni azione utile a evitare il peggio per la nostra regione. Ci attendiamo però altrettanta buona volontà da chi questa regione la governa.

Di fronte al danno enorme che tutti oggi riceviamo, ci aspettiamo atti di resipiscenza e di umiltà e per esempio: passare la mano quando proprio non si riesce (con tutta la buona volontà) a fare quel che il proprio ruolo richiede; rivedere la composizione di una task-force (a proposito quante volte si è riunita da luglio a settembre?) che, a ogni evidenza non ha svolto alcun ruolo utile né di indirizzo né di controllo; aprire al confronto con le molte competenze e le istanze organizzate del territorio perché ogni futuro provvedimento nasca dal consenso (e dalla assunzione di responsabilità) la più ampia; rendere trasparenti, (come chiede da tempo anche la fondazione Gimbe), tutti i dati della pandemia e, magari anche quelli dei 21 indicatori trasmessi dalla Regione Basilicata alla Cabina di Regia del Ministero della Salute. Così, finalmente, i lucani sapranno se son davvero loro gli incapaci e gli incoscienti. Per esempio.

La Basilicata Possibile