La poesia è un atto di pazienza sartoriale

Intervista con Marco Esposito, autore della silloge "Prima di spegnersi"

Marco Esposito è un poeta e artista pugliese, si occupa di musica come cantante, musicista e fonico per eventi musicali. Ha recentemente pubblicato, per Eretica Edizioni, una silloge molto particolare, che si intitola “Prima di spegnersi”. Gli abbiamo posto alcune domande sull’ispirazione e il ruolo della sua poesia, nel nostro contesto. Marco Esposito sarà con noi, questa sera (sabato, 12 dicembre 2020) nella nuova puntata di Nessun Codice a Barre, sulle omonime pagine Facebook e il nuovo canale YouTube, in collaborazione con la testata Basilicata24.it.

Ci porti nel mondo descritto dai suoi versi. Quanto realtà e quanto distopia?

Distopia è un termine abusato oggi, per ovvie ragioni riguardanti le ultime contingenze.

La stesura iniziale di questo lavoro in realtà risale a più di tre anni fa e, a suggerirmi il suo concept, è stato un insieme di circostanze molto difficili, famigliari e personali, affrontate quasi in solitaria. C’è molta realtà, in questa distopia stilizzata, anch’essa connotata di qualche elemento verosimile, ispirato a pochi articoli scientifici che mi sono capitati sottomano.

La realtà alberga nei vari riferimenti a problematiche ambientali e nelle comuni vicende interiori di solitudini e alienazione, vissute dai personaggi di questa raccolta, tutti connessi eppur lontanissimi, negli sbalzi temporali rappresentati da queste poesie che, sostanzialmente, sono come istantanee scattate in diverse epoche.

Cos’è, per lei, l’ispirazione?

La condizione necessaria a sublimare, a tradurre. E, a sua volta, è spesso data dall’urgenza di arrivare a qualcuno, o di poter affrontare un dolore.

L’ispirazione si serve di mezzi sensoriali, di finestre nostalgiche o fantasiose, e, ovviamente, di doti tecniche (tese sempre al miglioramento, certo). E questo vale anche in altre forme d’arte. Nella musica, che ho praticato a lungo, non vedo differenze, oltre il linguaggio.

In un certo senso mi sono affacciato alla poesia per continuare a canalizzare un’energia fin lì espressa diversamente; con la speranza di esprimerla meglio di ieri e di oggi: di crescere.

C’è di buono che la poesia non ti dà mai la sensazione di aver imparato granché.

Qual è, a suo avviso, il ruolo della poesia nella nostra società?

È una domanda che richiederebbe la voce esperta di chi studia la materia, e non la pratica soltanto come esercizio quotidiano. Io immagino la poesia come una persona gentile che, con creanza e pochi cenni, ci possa fermare e ci dimostri quanto siamo insignificanti, lasciandoci attoniti. È necessità, nell’intemperanza collettiva, di un rallentamento. In tutto, dal passo al battito cardiaco. Soprattutto, nelle parole; quelle che, in modo compulsivo e irruento, controlliamo sempre meno sui mezzi a nostra disposizione. ‌Il fatto stesso che la poesia imponga di centellinare i termini, ritornare sulle immagini, sbattervi la testa – nei limiti delle proprie capacità –, è un atto di pazienza sartoriale in cui alloggiare meglio il proprio pensiero o i propri turbamenti. ‌Personalmente, non cerco un atto consolatorio nella poesia, ma qualcosa che mi destabilizzi ancor di più.

Per quanto si possa viaggiare all’infuori di noi coi testi di narrativa, allo stesso modo si può transitare ed esplorare noi stessi attraverso la poesia. Non ho idea se quest’ultima possa esercitare oggi un ruolo salvifico a livello sociale – non credo molto nelle convinzioni che guardino alla bellezza come al riscatto del mondo –, ma di certo aiuta il singolo a stare nell’ingranaggio esterno, ogni giorno con una traiettoria più ampia.

La copertina del libro

Marco Esposito, Poeta

La locandina dell’incontro su Nessun Codice a barre

Marco Esposito, Poeta