Scuole, Bardi si proclama vincitore ignorando quello che ha stabilito il Tar: ecco la verità

Il testo del decreto nel raccogliere le ragioni delle parti ricorrenti, riconoscendo sussistenti tutti i requisiti per procedere all’applicazione della tutela cautelare, rivela in modo inequivocabile la catastrofe istituzionale che queste ordinanze contingibili ed urgenti rappresentano per il mondo del diritto e non solo

A meno che non venga prorogata scade oggi l’ordinanza del presidente della Regione che aveva disposto la didattica a distanza per gli alunni delle scuole elementari e medie. Da domani, 4 dicembre, dunque si dovrebbe rientrare a scuola.

La chiusura è stata al centro di un ricorso al Tar presentato da parte di un gruppo di genitori i quali avevano chiesto l’annullamento del provvediment. Il Tar nella giornata di ieri si è pronunciato respingendo la sospensiva e accogliendo l’istanza.

Tuttavia il presidente della Regione Basilicata forse un po’ troppo frettolosamente si è auto proclamato vincitore sostenendo che il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso dei genitori. E’ andata proprio così? Evidentemente no, per questo è utile ripercorrere le tappe della vicenda.

La Basilicata il 10 novembre viene inserita con apposita ordinanza del ministro della Salute Speranza fra le regioni dove è presente un sensibile rischio epidemiologico legato alla pandemia da covid. In base al Dpcm del 3 novembre 2020 le scuole dell’infanzia, primarie e medie inferiori fino alla terza media di tutte le regioni in zona gialla e in zona arancione rimangono aperte con la didattica in presenza. Nelle zone rosse, invece, a fronte di un rischio alto che la pandemia vada fuori controllo, la scelta del governo è per la chiusura oltre che delle scuole secondarie di secondo grado anche delle classi seconda e terza della scuola secondaria di primo grado.

Il 15 novembre 2020 il presidente della Regione Basilicata con propria ordinanza, la numero 44, a fronte di un rischio epidemiologico di particolare severità ordina la chiusura di tutte le scuole, salvo  quelle dell’infanzia.

Il dissidio fra la norma nazionale che e quella regionale induce un gruppo di genitori a promuovere, prima una raccolta di firme e poi, a proprie spese, a promuovere un ricorso al Tribunale amministrativo regionale per ottenere il riconoscimento dell’illeggittimità dell’ordinanza.

Il ricorso è diretto ad ottenere una sentenza da parte del Tar che accerti l’esistenza di uno dei vizi del provvedimento amministrativo: violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza relativa, e per questo annulli l’atto amministrativo.

I ricorrenti, attesa la breve durata dell’ordinanza, 15 giorni solamente, rivolgono al Tar istanza cautelare di sospensiva sia in sede collegiale sia in sede monocratica (al presidente del Tar).

La sospensiva è un provvedimento temporaneo adottato in via d’urgenza in attesa della definizione del giudizio, che viene adottato dal collegio (da tre giudici) in presenza di due elementi: il fumus boni iuris ossia la ragionevole possibilità che il ricorso sia fondato, e il periculum in mora ossia il rischio di un danno irreparabile e grave derivante dal ritardo nell’annullamento.

A questi due elementi si aggiunge, nel caso di un provvedimento presidenziale (adottato dal presidente del Tar nella prima udienza utile) un ulteriore requisito, una estrema gravità ed urgenza tale da non poter consentire di rimandare la decisione sulla sospensiva neppure all’udienza successiva.

La richiesta di sospensiva collegata al ricorso 479/2020 viene esaminata dal presidente del Tribunale che lo decide con un elegante quanto tecnicamente preciso decreto presidenziale.

Il testo del decreto nel raccogliere le ragioni delle parti ricorrenti, riconoscendo sussistenti tutti i requisiti per procedere all’applicazione della tutela cautelare, rivela in modo inequivocabile la catastrofe istituzionale che queste ordinanze contingibili ed urgenti rappresentano per il mondo del diritto e non solo.

E infatti nel decreto del presidente del Tar Donadono  si legge: “è da ritenere che l’Autorità regionale abbia il potere di introdurre, motivatamente ed in via temporanea, le ulteriori restrizioni che giudica indispensabili qualora si riveli, per esempio, la necessità di intervenire in particolari aree infraregionali a causa della specifica situazione locale, ovvero si riveli l’inadeguatezza delle misure di contenimento adottate nelle strutture scolastiche in particolari contesti; ciò, sempreché risulti insufficiente o inefficiente il ricorso a rimedi alternativi in grado di evitare o contenere l’applicazione delle restrizioni nella misura minima compatibile con le esigenze di sanità pubblica;

sembra invece da escludere, in base al quadro normativo vigente evocato dai ricorrenti, che la Regione possa, in maniera generalizzata, modificare l’assetto organizzativo dell’attività scolastica, alterando il quadro delle misure calibrate nel Dpcm per effetto di un diverso apprezzamento dei parametri di rischio epidemiologico e delle misure di contenimento necessarie e sufficienti per fronteggiare la situazione quale risulta compendiata nei diversi “scenari” rappresentati e determinati dall’Autorità governativa centrale;

inoltre, non sembra comunque che le misure adottate possano prescindere da una appropriata verifica ed una adeguata valutazione sulle effettive capacità funzionali e operative, sotto il profilo organizzativo, delle risorse umane e delle dotazioni informatiche, nell’impiego di tale modalità di svolgimento dell’attività nelle istituzioni scolastiche cui viene imposta la didattica a distanza; poiché altrimenti l’inibitoria della didattica in presenza sarebbe equivalente in pratica ad una chiusura delle attività scolastica, che con il Dpcm si è voluto invece scongiurare, assumendo iniziative finalizzate, nell’apprezzamento della competente Autorità ministeriale, a garantire il diritto allo studio mediante lo svolgimento della didattica in presenza, pur negli scenari peggiori;

dall’istruttoria disposta con il precedente decreto n. 271 emerge, ad una prima sommaria delibazione, che le determinazioni impugnate appaiono sorrette da circostanze e considerazioni che, sebbene idonee a dimostrare la presenza di criticità nel sistema scolastico (anche se probabilmente non tipiche e particolari del contesto regionale), nondimeno non risultano del tutto coerenti ed aderenti con i principi sopra evidenziati concernenti il ruolo dell’Autorità regionale nella modulazione degli interventi necessari al contenimento dell’emergenza sanitaria, né risultano completamente esaustive relativamente alla possibilità di garantire la continuità didattica con la modalità a distanza nella scuola primaria e secondaria di primo grado;

pertanto si ravvisano elementi sufficienti a giustificare l’adozione di misure cautelari provvisorie, efficaci nelle more dell’esame collegiale alla prima camera di consiglio utile;

al riguardo, il bilanciamento tra le esigenze imposte dalla necessaria tutela dei diversi interessi coinvolti nella materia (primi tra tutti, ma non solo, il diritto alla salute e quello all’istruzione) spetta in primo luogo all’autorità amministrativa, che ha gli strumenti e la competenza di merito per adottare le misure appropriate, anche alternative alla didattica a distanza, nell’ambito comunque del quadro normativo vigente, sulla cui osservanza il giudice amministrativo è chiamato a pronunciarsi;

pertanto la tutela cautelare invocata dai ricorrenti può trovare soddisfacimento, senza pregiudizio per gli interessi pubblici affidati alla cura dell’Autorità regionale, disponendo il riesame delle determinazioni adottate nella parte oggetto di impugnativa in questa sede alla luce anche delle indicazioni contenute nel presente decreto cautelare, fatta salva ovviamente ogni altra decisione spettante al collegio al quale va rimesso l’affare nella prossima camera di consiglio;”

Il presidente del Tar, ingenuamente, affidandosi a quel rispetto istituzionale che dovrebbe governare i rapporti tra istituzioni di vertice, affida allo stesso presidente Bardi il compito di riesaminare la propria ordinanza in autotutela (per evitare di soccombere in giudizio) e rinvia per le altre decisioni alla prima camera di consiglio utile, il giorno 2 dicembre.

Nel frattempo il presidente della Basilicata non solo non provvede a rimuovere l’ordinanza illegittima ma intraprende una sconcertante campagna di stampa con la quale afferma che il suo operato è stato riconosciuto non solo legittimo ma anche opportuno dal giudice.

Il 2 dicembre si pronuncia il collegio sulla medesima questione. Rileva stavolta l’assenza di uno dei due elementi essenziali per procedere con provvedimento di sospensione dell’ordinanza, il periculum in mora. Infatti il provvedimento scadrà il giorno seguente e altro non si può fare se non riconoscere che il danno è fatto. Riconferma invece la sussistenza del fumus boni iuris e per questo in via incidentale, rilevato che la Regione Basilicata “non ha adempiuto al disposto del decreto monocratico di questo Tribunale n. 272 del 2020, e ritenuto, pertanto, di dover incidentalmente evidenziare che l’eventuale reiterazione del potere amministrativo qui in contestazione dovrà uniformarsi alle esigenze di approfondimento istruttorio e motivazionale ivi analiticamente indicate, fatte salve ovviamente le esigenze derivanti dall’evoluzione del quadro normativo”.

In sostanza il collegio rinnova l’invito al presidente della Regione a non abusare dei suoi poteri conservando la propria azione all’interno dell’area di movimento fissata dal presidente Donadono con il decreto. Si tratta pur sempre di un provvedimento amministrativo non di un editto di Ottaviano Augusto!

La misura cautelare è sfumata per eccesso di fiducia nell’altrui correttezza ma il giudizio non si è interrotto anzi entrerà nel vivo con le udienze del dibattimento. Solo allora si potrà dire il ricorso è stato respinto o è stato accolto.

Il presidente Bardi dopo questa ordinanza rilascia interviste surreali nelle quali si proclama vincitore del ricorso e non solo, si autoproclama salvatore della Basilicata nonché fine costituzionalista, raffinato giurista e padre della patria.

Tutto ciò ha del dell’incredibile. Come può una persona che governa una regione e che per anni ha svolto un ruolo di grande responsabilità ignorare il significato di questi provvedimenti della magistratura amministrativa?

E’ dunque necessario chiedersi: Perché un’autorità pubblica ha bisogno di nascondere il proprio errore di valutazione? Forse per celare l’uso distorto che fa del suo potere insabbiato dietro pagine e pagine di provvedimenti contorti ridondanti, zeppi di citazioni di norme, commi, articoli? Che spesso ripetono pedissequamente quanto inutilmente, il contenuto di provvedimenti governativi? Perché questa duplicazione del potere? Forse per poter ingigantire il proprio come un’ombra di fronte al cittadino che deve sentirsi circondato da questa maestà incombente. Tutto per cosa? Per impedire di avvicinare e di comprendere le norme che ci governano per farle ritenere troppo lontane e difficili anche solo da leggere ed interpretare. Per far rinunciare a mettere il naso in quegli incomprensibili geroglifici così che nessuno scopra che dietro tutto ciò, nel migliore dei casi non c’è assolutamente nulla. Nel peggiore una violazione della Carta Costituzionale.

La difficoltà di gestione e la disorganizzazione provocano a cascata insicurezza e altro disordine nel quale il covid si avvantaggia. Tutto questo viene poi fatto pagare ai bambini e ai ragazzi.